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Venezia 70: Amos Gitai riceve il premio Robert Bresson

Al regista Amos Gitai il Premio Robert Bresson per aver dato testimonianza del difficile "cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita".

La Fondazione Ente dello Spettacolo alla Mostra del Cinema di Venezia consegna quest'anno il prestigioso Premio Robert Bresson al regista israeliano Amos Gitai, da sempre impegnato nella ricerca di dialogo in Medioriente. Negli ultimi dieci anni, sono stati premiati artisti di fama mondiale come Manoel de Oliveira, Giuseppe Tornatore, Wim Wenders e Aleksandr Sokurov, vincitore tra l'altro del Leone d'Oro a Venezia nel 2011 con il Faust. Il riconoscimento, sentito il parere dei Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni Sociali del Vaticano, viene assegnato con la seguente motivazione:

"al regista che abbia dato una testimonianza, significativa per sincerità e intensità, del difficile cammino alla ricerca del significato spirituale della nostra vita".

L'anno scorso Viganò aveva consegnato il Bresson al regista britannico Ken Loach, Leone d'Oro alla carriera 1994 e vincitore della Palma d'Oro al Festival di Cannes nel 2006. Quest'anno, invece, il premio  va al regista israeliano Amos Gitai, il cui ultimo lavoro, Ana Arabia, è in concorso alla 70esima Mostra del Cinema di Venezia. Il riconoscimento sarà consegnato dal Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, S.E. Mons. Claudio Maria Celli. Saranno presenti don Ivan Maffeis, Presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, Mons. Dario Edoardo Viganò, Direttore del Centro Televisivo Vaticano, Paolo Baratta, Presidente della Biennale di Venezia, Alberto Barbera, Direttore della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. L'evento sarà presentato dalla conduttrice Lorena Bianchetti.

Amos Gitai è regista, sceneggiatore e documentarista israeliano. Tra le opere più famose: Kippur, Giorno per giorno (Yom-Yom), Kadosh, Verso Oriente (Kedma), Terra promessa, Free Zone e Plus tard, tu comprendras… In tutti i suoi film ha mantenuto una posizione critica, coerentemente distante sia dalle posizioni ufficiali dei vari governi che si sono succeduti, sia da pregiudizi ideologici che spesso condizionano i sostenitori dell'una o dell'altra fazione in lotta. Questa forma di disincantata lucidità, che lo ha spesso condotto ad assumere posizioni non allineate, dà vita, nel suo ultimo film Ana Arabia, ad un ritratto partecipe, umanissimo e carico di un'esplicita valenza utopistica, di una piccola enclave di famiglie arabe che convivono pacificamente con parenti ebrei. Lontano da ogni forma di massimalismo, è un film dove la politica assume radicalmente le forme che dovrebbero esserle proprie: quelle della condivisione di scelte alla base delle quali ci sono, prima di ogni altra cosa, gli uomini e le donne, con i loro sogni e desideri, bisogni e problemi quotidiani.

Girato in un unico piano sequenza in formato 1:25, Ana Arabia è un momento nella vita di una piccola comunità di reietti, ebrei e arabi, che vivono insieme in un angolo dimenticato da tutti al "confine" fra Jaffa e Bat Yam, in Israele. Un giorno una giovane giornalista, Yael, li va a visitare. In quei tuguri cadenti, nell'agrumeto pieno di alberi di limoni circondati da palazzoni, Yael scopre una serie di personaggi lontanissimi dai soliti cliché della regione e sente di aver trovato una miniera d'oro di umanità.

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