L'intervista a Pascal Chaumeil, regista della commedia francese Un piano perfetto.
Vi presentiamo l'intervista fatta a Pascal Chaumeil, regista della commedia francese Un piano perfetto, dal 19 settembre al cinema.
Cominciamo con una breve seduta di psicanalisi! "Un piano perfetto" è il suo secondo lungometraggio e, come "Il Truffacuori", parla delle difficoltà che s'incontrano nel costruire e mantenere un rapporto di coppia. Mi sembra davvero molto sensibile al problema…
Ci tengo innanzitutto a rassicurarla: la mia vita di coppia va alla grande e vivo con la stessa donna da 25 anni! A parte gli scherzi, credo che sia semplicemente più divertente e creativo raccontare storie d'amore complesse. Ritengo che un intrigo sentimentale sia il miglior espediente drammaturgico, il punto di partenza ideale che permette al racconto di svilupparsi in qualunque direzione e che autorizza l'autore – e di conseguenza il film – a fare delle digressioni. Parlare di problemi di cuore serve a tenere vivo l'interesse dello spettatore per tutta la durata del film, basti pensare a film di Hitchcock come "Intrigo Internazionale". Il film comincia con un incredibile divertissement astratto, ma l'intrigo reale e sottinteso ruota tutto intorno all'incontro tra un uomo e una donna con un unico interrogativo: alla fine, si innamoreranno e resteranno insieme?
Venendo agli inevitabili riferimenti a "Il Truffacuori", ha sentito la pressione di dover fare almeno 'altrettanto bene'?
Onestamente non ho avuto troppo tempo per pensarci. Prima di "Un piano perfetto", avevo in cantiere un altro progetto che però non è andato in porto per problemi di casting. Di conseguenza sono stato coinvolto quando il progetto era già a buon punto. Quando mi hanno proposto di dirigere il film, ho letto la sceneggiatura e mi sono fatto subito prendere dalla storia, al punto da dedicarmici completamente. Fino al momento dell'uscita nelle sale, non ho mai avuto il tempo di sentire la pressione e il nervosismo per il fatidico 'secondo film'. L'unica cosa che desideravo era realizzare un buon film che fosse all'altezza delle mie aspettative e di quelle di tutti coloro che hanno partecipato alla sua realizzazione. Penso che sia molto più facile lanciarsi in un'avventura dopo un grande successo che il contrario.
Uno dei motivi per cui il film funziona così bene è che i due elementi chiave sono trattati con la stessa accuratezza: c'è il lato comico – e devo ammettere che si ride tantissimo – e il lato romantico…
Esatto. Per tornare una volta ancora a "Il Truffacuori", per quanto riguarda l'aspetto comico condivido con gli sceneggiatori Laurent Zeitoun e Yoann Gromb l'idea che a un certo punto i sentimenti debbano assumere una certa profondità. Anche se il film inizia come una commedia, è essenziale che a un certo punto il tono cambi e si passi all'analisi dei sentimenti senza paura di cadere nel romanticismo. Nonostante ciò, abbiamo fatto del nostro meglio per evitare di diventare eccessivamente sdolcinati. Il punto chiave è stato far sì che a un certo momento del racconto i protagonisti si trovassero di fronte al classico dilemma tra ragione e sentimento.
Sin dalla fase di scrittura, non avete escluso una giusta dose di cattiveria e crudezza del linguaggio, un fenomeno piuttosto recente nelle famose e tradizionali "commedie" francesi…
Devo confessare di avere una certa predilezione per le idee ai limiti della realtà ed è per questo che al momento delle riprese sento sempre la necessità di riportare i personaggi e le situazioni in un quadro più reale, concreto, il che non esclude naturalmente una giusta dose di durezza e di cattiveria nel descrivere i rapporti umani e familiari. Questo tipo di realismo mi si adatta alla perfezione. Se consideriamo a titolo d'esempio la sequenza girata in Africa, non credo di aver mostrato immagini da cartolina. Abbiamo girato in veri quartieri con le persone del posto.
Aver inserito le scene in Kenya o a Mosca ha sicuramente complicato il piano di lavorazione e ha fatto indubbiamente lievitare i costi. E' stata una decisione presa sin dall'inizio in quanto ritenuta indispensabile ai fini del racconto?
Certamente! Per dirla tutta, all'inizio le scene africane avrebbero dovuto svolgersi in Tanzania dove avevo già fatto dei sopralluoghi… Poi abbiamo preso in considerazione il Sud Africa che è certamente un paese magnifico e affascinante, ma che non corrisponde più all'idea dell'Africa selvaggia, del genere "La mia Africa" per intenderci. Il Kenya e i suoi paesaggi sublimi mi sono sembrati più adatti e -rispetto alla Tanzania- abbiamo potuto contare su un'infrastruttura logistica più solida, nata dopo la realizzazione di "The Constant Gardener-La Cospirazione". E' chiaro che girare in Africa è stata una scelta costosa, ma necessaria a conferire realismo al film, perché si ha la netta sensazione che i protagonisti attraversino veramente i luoghi in cui li porta la storia. Mi riferisco soprattutto alla sequenza con i Masai: se avessimo girato altrove, avremmo dovuto scritturare delle comparse e far indossare loro dei costumi, invece in Kenya non abbiamo dovuto aggiungere nulla perché è così che si vestono e sono quelli i costumi che indossano… Per quanto riguarda Mosca, ci siamo trovati di fronte allo stesso quesito: girare a Mosca solo qualche sequenza per gli sfondi e i panorami e spostarci poi a Praga o in un paese meno "complicato"? Ma poi ci siamo convinti che Mosca fosse la vera New York dell'Est perché ha in sé qualcosa di spettacolare e di estremamente potente ai fini cinematografici.
Passiamo agli attori e a questa strana coppia cinematografica: Dany Boon e Diane Kruger…
Le cose che mi interessano di più di Dany Boon sono il suo talento comico e la sua fisicità, una combinazione piuttosto rara tra gli attori francesi. Non vedevo l'ora di lavorare con un interprete che possedesse il senso della comicità visiva, cosa che non mi era mai capitata in precedenza. Mi ha fatto venire in mente attori molto diversi e di talento quali Peter Sellers, Louis de Funès, Bourvil o, per venire al presente, Jim Carrey. Inoltre ho la sensazione che nei film nei quali Dany ha fatto semplicemente l'attore, non sia stato utilizzato al meglio. E' un attore che può raggiungere vette inimmaginabili senza cadere mai nell'esagerazione ed è stato molto interessante esplorare l'intera gamma di toni e sfumature che è in grado di esprimere!
Abbiamo lavorato molto insieme per trovare il tono giusto, senza avere mai il timore di spingerci troppo in là nelle scene di pura commedia in cui si sfiora il "burlesque", cercando però in altre sequenze una recitazione più trattenuta e più sfumata. Un'altra cosa assolutamente piacevole scoperta nel lavorare con lui è la sua inesauribile capacità di inventiva: il suo rapporto con il regista diventa una vera collaborazione e la cosa ha un effetto a cascata. E' generoso e non ha paura di sperimentare. Non ho mai avuto la sensazione di dirigere un regista: è chiaro che comprende e padroneggia la tecnica sapendo esattamente ciò che vede la macchina da presa, ma al tempo stesso sul set si è comportato 'solo' da attore. Credo che abbia avuto la percezione che io sapessi quello che volevo e come tutti gli attori ha apprezzato la cosa.
E cosa mi dice di Diane? L'ha coinvolta in situazioni a dir poco insolite per lei, facendole interpretare un personaggio e delle scene nelle quali non solo non l'avevamo mai vista, ma in cui non riuscivamo neanche a immaginarla…
E' sempre rischioso scegliere un attore o un'attrice per un ruolo che non ha mai affrontato. Inoltre Isabelle -il personaggio interpretato da Diane- è una donna complicata, una che mente e che gioca in continuazione. Sono cose difficili da rendere davanti alla macchina da presa perché bisogna recitare su due diversi livelli: quello relativo al rapporto con gli altri personaggi e quello invece più inerente alla sua essenza più profonda. E' tutta questione di equilibrio e sin dalle prime letture con Diane ho capito che aveva l'energia, il talento e l'intelligenza per interpretare il personaggio. Inoltre è un'attrice che ha la rara capacità di captare immediatamente l'obiettivo. La macchina da presa la adora. E per completare il quadro, direi che è dotata di una grande fantasia, di un'energia inesauribile e di una resistenza fuori dal comune! Per le scene dei balli russi alla fine del film, so che ha lavorato come una bestia da soma!
Avevamo immaginato una coreografia molto complessa che Diane ha portato con sé negli Stati Uniti per provarla durante le vacanze con un insegnante di danza per diverse ore ogni giorno. Aveva dei crampi terribili: quei balli richiedono dei quadricipiti e dei polpacci molto sviluppati. Anche se sembra facile, in realtà ballare in quel modo richiede un gran fisico…
Diane lavora e riflette molto a monte: so che ha disegnato il percorso di Isabelle, cercando di rendere più attraente e meno goffa una donna che nella sceneggiatura era molto più caricaturale. Aveva voglia di essere efficace in un ruolo comico, un genere che non aveva mai interpretato finora. E' stata una sfida elettrizzante per lei. Una volta arrivata sul set ha lasciato parlare il suo istinto di attrice, come Dany del resto. Per me è la situazione ideale perché non mi piace fare troppe prove prima di girare, preferisco vedere quello che viene fuori tra un ciak e l'altro. So che gli attori amano questa sensazione di libertà e di rispetto per la loro creatività. Il film ne ha beneficiato parecchio perché Diane e Dany si sono divertiti molto a lavorare in questo modo, senza mai risparmiarsi.
Una parola per descrivere la cena che fa da filo conduttore…
Abbiamo avuto la fortuna di girare la scena della cena alla fine delle riprese, conoscendo perfettamente i personaggi e gli attori. Di conseguenza la scena è stata parzialmente riscritta in funzione di quello che sapevamo di loro. Tutti gli ospiti ormai si conoscevano alla perfezione e quindi erano assolutamente a loro agio. Sono stati tutti bravissimi e generosi, e poi ho fatto del tutto affinchè i personaggi cosiddetti secondari avessero lo stesso spazio dei protagonisti. Per me sono importanti tanto quanto i personaggi principali e sono stato ugualmente esigente con loro.
Un altro ingrediente fondamentale del film è la qualità delle immagini. Spesso in Francia la commedia viene trattata come un "parente povero" per quanto riguarda la fotografia o le scenografie…
Due cose assolutamente fondamentali per me, queste. Una certa eleganza visiva non impedisce certamente di ridere o di divertirsi! E' quasi una questione fisica: se una cosa è brutta da vedere, non riesco a filmarla, non mi soddisfa. Inoltre, poiché in una commedia si filmano spesso scene al limite del buon gusto, è essenziale trovare una forma classica ed elegante che immerga lo spettatore in un universo completo in grado di farlo sognare. Per ottenere tutto questo bisogna fare molta attenzione alle inquadrature, alle scenografie, alla luce, servendosi di specialisti eccellenti e per questo vorrei citare il direttore della fotografia Glynn Speeckaert, l'operatore della steadycam Patrick de Ranter e lo scenografo Hervé Gallet che hanno contribuito enormemente alla qualità formale del film aggiungendo armonia e grazia.
Tutto questo ci porta ai grandi maestri della celebre 'commedia romantica' : Frank Capra,
Billy Wilder, Rob Reiner…
Naturalmente! "Harry ti presento Sally" è un riferimento inevitabile per qualunque commedia romantica moderna in termini di qualità della recitazione, finezza dei personaggi e creatività narrativa costante. Billy Wilder è un vero maestro. "L'appartamento" rimane un modello ineguagliato. Tuttavia, durante le riprese mi sono ispirato anche a film di genere completamente diverso. Per esempio adoro il cinema di Spielberg per la precisione e l'inventiva costante della messa in scena: è un genio! Anche lui mi ha influenzato anche se in modo diverso rispetto ai maestri sopracitati. E' una questione di precisione, una maniera di mostrare le cose, di raccordare le sequenze tra di loro…
Lei ha 51 anni e "Un piano perfetto" è 'soltanto' il suo secondo lungometraggio. In precedenza, ha diretto spot pubblicitari, ha lavorato con Luc Besson e ha diretto film per la televisione. Possiamo dire che l'efficacia e la qualità dei suoi due film vengono da tutto questo bagaglio di esperienze che potrebbe essere considerato una specie di scuola di cinema?
Direi di sì perché tutto quello che ho fatto in passato può anche essere visto come una sorta di apprendistato tecnico professionale. Diciamo anche che mi ci è voluto del tempo per acquistare una certa maturità personale. Ho dei figli ai quali ho dedicato molto tempo, ho vissuto la mia vita e sono certo che tutto questo sia stato necessario per arrivare a essere il regista che sono oggi e per prepararmi ad affrontare il cinema. La pubblicità è stata un'autentica scuola per quanto riguarda il montaggio, la maniera di rendere efficaci le immagini e di trasmettere messaggi. Tutto quello che ho fatto in televisione mi ha permesso di conoscere gli attori e di imparare a raccontare delle storie. La regia è un mestiere che s'impara sul campo e aver accumulato tutta questa esperienza mi ha permesso di essere pronto a compiere l'ultimo passo. Inoltre sono un autentico cinefilo e aver visto tantissimi film è stato sicuramente determinante. Do spesso questo consiglio ai giovani registi che me lo chiedono: "Andate a vedere i film degli altri!". Diventano una sorta di biblioteca inconscia alla quale possiamo attingere per trovare le risposte a tutti i quesiti quando si passa alla regia. E' un principio che applico sempre.
Ha già in mente il seguito delle sue avventure?
Avrei preferito godermi fino in fondo l'uscita di "Un piano perfetto", ma in realtà sono già al lavoro su un altro film. Si tratta di un film inglese, tratto da un romanzo di uno scrittore che adoro, Nick Hornby, l'autore di "Alta fedeltà" e di "About a Boy". Il progetto è nato al momento dell'uscita nelle sale inglesi de "Il Truffacuori". Dopo il successo del film in Gran Bretagna, ho un agente che mi rappresenta anche lì attraverso il quale mi hanno proposto una storia che non ho avuto nessun problema a riscrivere e a definire dal punto di vista del cast. Girerò l'autunno prossimo con Pierce Brosnan…
Leggi tutte le interviste:
• Un piano perfetto: intervista al regista Pascal Chaumeil
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