Tutta colpa di Freud, intervista a Vinicio Marchioni


Intervista a Vinicio Marchioni, protagonista del film di Paolo Genovese, Tutta colpa di Freud.

Di seguito l'intervista a Vinicio Marchioni, che interpreta Fabio nel film di Paolo Genovese Tutta colpa di Freud.

Chi è il personaggio che lei interpreta in questo film?
È un ladro di libri sordomuto di nome Fabio; si tratta di un ruolo piuttosto complesso che mi ha permesso però alla fine di vincere la mia scommessa/sfida: in genere persone simili al cinema sono sempre state raccontate in chiave più drammatica, mentre all'interno di questa commedia di Genovese è stato meraviglioso riuscire a trovare un equilibrio tra una profondità di interpretazione e una grandissima leggerezza. Fabio appare in scena all'inizio perché ruba dei libretti d'opera, di cui è appassionato, nella libreria di Marta. Ma dopo l'ennesimo furto ed un burrascoso inseguimento, la ragazza si rende conto che lui è sordomuto e per poter riavere indietro i suoi libretti va a trovarlo al Teatro dell'Opera di Roma dove lui lavora come maschera. Inizia così una relazione che sfocerà in un'appassionata storia d'amore che abbiamo portato in scena divertendoci moltissimo. Fabio tra i due è il tipo più chiuso, e dopo una prima conoscenza a un certo punto le fa capire che la loro storia non può andare avanti e che non si fida, e lei per dimostrargli tutta l'apertura e la fiducia possibile va ad imparare la lingua dei segni e glielo comunica nella maniera più aperta possibile, usando il suo stesso linguaggio.

Che cosa le è piaciuto di più?
Sicuramente la possibilità di esprimere emozioni e sensazioni senza poter mai usare le parole, ma adoperando solo il corpo, la mimica e naturalmente il linguaggio dei segni: a questo proposito vorrei citare, ringraziandolo, Francesco D'Amico, un attore che si è rivelato straordinariamente prezioso nell'insegnarmi a comportarmi e nel darmi i suggerimenti giusti; la parte finale del film in cui Fabio invita Marta all'interno del teatro e le fa una dichiarazione d'amore molto particolare è una delle scene più emozionanti che mi sia mai capitato di girare.

C'è stata una costruzione comune del personaggio?
Ho lavorato a lungo prima delle riprese con l'istruttore di cui parlavo e con un insegnante della lingua dei segni che è stato di grande aiuto sia a me che a Vittoria Puccini, a sua volta impegnata ad imparare lo speciale linguaggio per comunicare in scena con il mio personaggio. Paolo Genovese si è dimostrato un regista raro e speciale: in passato c'eravamo solo incrociati in un paio di festival, tutti mi avevano parlato benissimo di lui ma dopo averci lavorato posso dire che è uno dei migliori registi che io abbia mai visto in circolazione, mi sono trovato meravigliosamente bene con lui perché ha una grandissima sensibilità nel dirigere gli attori e sa accompagnarli tenendoli per mano nel modo giusto in ogni scena che gira, per andare a trovare poi la temperatura più idonea per ogni momento. È stato meraviglioso anche lavorare con Vittoria, un'attrice fantastica con cui dopo questo film ho avuto l'opportunità di recitare anche nella miniserie Rai su Oriana Fallaci diretta da Marco Turco in cui lei interpreta la celebre scrittrice/giornalista e io il suo compagno, il poeta e rivoluzionario Alexandros Panagulis.

Quali sono secondo lei le caratteristiche vincenti di Vittoria Puccini?
La professionalità e la generosità estreme, la tranquillità con cui affronta ogni impegno e un talento impressionante: è una di quelle attrici con cui ti augureresti di recitare in ogni film. I nostri due personaggi interagiscono tra continue incomprensioni e tanti momenti buffi, e Vittoria ed io ci siamo divertiti molto a costruire queste situazioni, a cercare la comunicazione principale e primaria che è quella che si manifesta attraverso gli sguardi. Il grado di leggerezza che abbiamo cercato di costruire era basato tutto sulle difficoltà di comunicazione e sugli equivoci, ma volendo cercare un messaggio può essere trovato nella constatazione che l'amore non ha nessun tipo di confini, tanto meno quelli linguistici.

Quali altri momenti particolari ricorda più volentieri?
C'è una sequenza in cui invito Vittoria a casa mia e le faccio ascoltare un brano musicale attraverso le vibrazioni delle casse dello stereo, una metodologia precisa adoperata dai sordi per ascoltare musica: c'è questa scena molto intima in cui lei anziché sentire attraverso le orecchie lo fa attraverso le vibrazioni che le arrivano direttamente adagiando le mani sulla casse: la sequenza si chiude con un romantico abbraccio tra i due personaggi.

Di che tipo di commedia si tratta secondo lei?
Mi sembra piuttosto particolare, prima di tutto perché ci sono tante donne in scena: le tre figlie hanno una presenza primaria e ognuna di loro porta con sé varie problematiche intorno al sentimento amoroso. E poi perché è supportata da un elemento che credo caratterizzerà fortemente il nostro film, ovvero la fotografia di Fabrizio Lucci: tutto è ambientato nel centro storico di Roma, con moltissime sequenze girate di notte che valorizzano il contesto in modo speciale.

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