The Witcher
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The Witcher, ecco perché è un’occasione mancata


'The Wicher' avrebbe potuto essere una serie High Fantasy di grande respiro, da meritare l'hype che gli era stato costruito intorno: purtroppo c'è qualcosa che non ha funzionato

Quando Harry Potter e i Doni della Morte – Parte 2 uscì al cinema, sancendo la fine di una delle serie più seguite e amate dal pubblico, gli studios cercarono immediatamente di cavalcare l'onda di quel successo cercando di ricreare una ricetta perfetta, in grado di irretire la stessa fascia di pubblico con gli stessi risultati. Ci provarono con prodotti come Percy Jackson o Le Cronache di Narnia: in entrambi in casi si trattava di film divisibili in capitoli, tratti da romanzi di sicuro appeal nella fascia demografica di riferimento, incentrati sulle avventure di giovani protagonisti che scoprivano di essere speciali e di avere legami con un mondo dove la magia aveva un suo peso.

Quello che è successo con la saga di Harry Potter, in questi ultimi mesi è accaduto in ambito seriale con la fine della serie televisiva che, volenti o nolenti, ha rappresentato un po' una svolta nel modo di vivere la serialità e il binge-watching. Game of Thrones ha chiuso i battenti su HBO – con una stagione finale davvero deludente -, ma nonostante i risultati è stata comunque un'esperienza che ha reso sociale e universale l'atto della visione, con le persone che, in Italia, si svegliavano a notte fonda per vedere l'episodio della settimana su Sky o Now Tv o le piattaforme legali che lo permettevano. Chiuso Il Trono di Spade, dunque, la vera missione era trovare un erede che riuscisse in qualche modo a colmare quel vuoto, quella lacuna seriale dove si poteva inserire di nuovo un fantasy appartenente al genere High con la sua ambientazione medievale. The Witcher sembrava il prodotto adatto a rispondere a questa esigenza.

La serie televisiva, che ha debuttato lo scorso Venerdì su Netflix in tempo per essere assaporata nel primo weekend di vacanze natalizie, è tratta da un famoso videogioco con uno zoccolo molto duro di appassionati che si basa sulla serie di romanzi firmati da Andrzej Sapkowski.

La storia è quella d Geralt of Rivia (interpretato da Henry Cavill), un cacciatore di mostri che ha difficoltà nel trovare il proprio posto nel mondo. La sua quotidianità è popolata da eventi che dimostrano che l'essere umano sa essere più bestiale e crudele dei mostri a cui da la caccia.

Fin qui, The Witcher è una storia che su carta è fatta per appassionare e sedurre gli appassionati del genere – chiaro è che se non avete mai digerito il fantasy, difficilmente questa serie risveglierà la vostra curiosità.

Abbiamo un protagonista che risponde al prototipo sempre affascinante dell'uomo duro, coraggioso e forte, che cela le proprie fragilità e il proprio lato più umano sotto una scorza che sembra durissima da scalfire. Non a caso quando Geralt viene presentato al pubblico è avvolto dall'oscurità e dalla nebbia e il primo vero dialogo che ha è così intriso di (una tensione alla) ironia che lo fa emergere subito come un uomo costretto ad attaccare per non essere attaccato a sua volta. Allo stesso tempo, inoltre, Geralt uccide creature che sono al limite del mitologico e questo non può far altro che aumentare il suo fascino, nel renderlo l'eroe (o anti-eroe) che tutti ci aspettiamo: il prescelto che compie atti extra-ordinari, di cui l'umano non sarebbe capace. Al suo fianco ci sono gli aiutanti, quelle spalle che sono necessarie ad ogni tipo di affabulazione, come ha ben descritto Christopher Vogler nel suo saggio Il Viaggio dell'Eroe, dove raccontava tutti gli elementi necessari allo sviluppo di una buona storia. Da una parte c'è la principessa Ciri (Freya Allan) che è una giovane reale costretta a sopravvivere coi propri mezzi, dall'altra c'è Yennefer (Anya Chalotra) una donna che ha subito abusi, ma che viene introdotta in un mondo di magia. La struttura di partenza di The Witcher, quindi, sembra avere tutte le carte in regola per essere un ottimo prodotto, eppure è proprio dalla base che cominciano a sorgere i problemi.

Il racconto avviene come un calderone di informazioni: se il pilot si può facilmente descrivere come noioso, gli episodi successivi non migliorano di molto il tiro. Lo spettatore si viene infatti a trovare con troppe storyline presenti nello stesso momento, troppe trame da seguire – cosa che diventa sempre più difficile con il calo dell'indice di attenzione, soprattutto nelle nuove generazioni – ma anche con un accumulo di informazioni che, seppure avessero una loro utilità, risultano troppo esposte, lanciate contro il pubblico neanche si trattasse di armi. Noi ce ne siamo seduti in poltrona a collezionare nomi di personaggi, di regni, di storie, di colpi di scena, ma la sensazione è quella di partecipare ad una sezione pubblica di una lettura di una lista della spesa.

Manca il coinvolgimento, manca il pathos del racconto: la storia viene spiegata al pubblico, quando invece bisognerebbe semplicemente mostrarla. Un esempio abbastanza chiarificatore riguardo questa dicotomia tra il narrare e il mostrare viene da paragone con il capostipite del genere fantasy. Ne Il Signore degli Anelli, ad esempio, Aragorn viene mostrato al pubblico come un uomo misterioso, un ramingo di nome Granpasso: la sua identità verrà svelata più avanti e la curiosità dello spettatore rimane salda per tutto il tempo. In The Witcher il destino di Geralt così come la sua ambivalente natura (tanto "biologica" quanto emotiva) viene subito spiegato, con tanto di spiegazioni nelle spiegazioni, che rendono la visione quasi superflua. Per quale motivo qualcuno dovrebbe seguire una serie di cui conosce già i risvolti narrativi? E se è vero che, di base, ogni storia si somiglia e che gli stereotipi e i topoi narrativi sono quelli da migliaia di anni, a cambiare è il modo in cui questi elementi vengono usati. The Wicher usa questi strumenti come potrebbe fare un dilettante: spiega per paura di non farsi capire.

È come se The Witcher conservasse in sé una certa frenesia di racconto, una sotterranea paura di non essere all'altezza e il tutto si tramutasse nel viaggio folle e quasi allucinato di personaggi e situazioni che non sanno davvero quale direzione intraprendere. E in questo non è aiutato nemmeno dall'interprete principale, il leader character che dovrebbe guidare la vicenda così come l'empatia del pubblico. Henry Cavill prova a fare del suo meglio, ma non riesce a restituire nulla se non un volto un po' ingrugnito e una sfumatura di emozioni ed espressioni che non concede molto. Intorno a lui, infine, sebbene il World Building funziona approssimativamente bene, quando si ha a che fare con la magia gli effetti speciali lasciano spesso a desiderare, riportandoci indietro di almeno un decennio, ai momenti più alti di serie televisive come Merlin.

In conclusione The Witcher aveva sia la storia che il pubblico necessari a renderlo un buon prodotto di intrattenimento, se non addirittura un'ottima serie da seguire con partecipazione. Ma allo stato attuale delle cose l'unica cosa che The Witcher rappresenta è un'occasione mancata.

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