Spinning Out
Spinning Out

Spinning Out, pattinaggio e disturbo bipolare


'Spinning Out' è la nuova serie Netflix che racconta le vicissitudini di una ragazza che deve imparare di nuovo a credere in sé e al suo talento come pattinatrice sul ghiaccio dopo che una brutta caduta e un disturbo bipolare hanno messo a repentaglio la sua possibilità di avere successo

Ha debuttato su Netflix alle soglie del 2020 Spinning Out, serie televisiva in dieci episodi con protagonista Kaya Scodelario (vista la scorsa estate nel divertente Crawl – Intrappolati) nei panni di Kat, una ragazza che decide di riprendere il suo sogno di gareggiare sul ghiaccio dopo che una brutta caduta durante una competizione le ha lasciato addosso la paura dei salti. L'opportunità di riprendere in mano il suo destino da sportiva arriva quando Justin (Evan Roderick) un pattinatore facoltoso e con bei posizionamenti nelle competizioni le chiede di pattinare in coppia con lui, soprattutto in vista delle interregionali che non sono poi così lontane. Dopo un primo momento di dubbi e incertezze, Kat accetta di sottomettersi all'allenamento di coppia, sotto l'occhio vigile dell'allenatrice russa Dasha Federova (Svetlana Efromova). Ma le sfide che la ragazza deve affrontare non riguardano solo la costruzione della fiducia necessaria a farsi guidare da qualcun altro sul ghiaccio che già una volta l'aveva tradita. Kat ha infatti ereditato un disturbo bipolare, e mentre cerca di tenere a bada le sue crisi, deve anche affrontare una madre (January Jones) con lo stesso disturbo e la volontà di non prendere il litio e soprattutto Kat deve anche occuparsi della sorella minore Serena (la Willow Shields di The Hunger Games, dove interpretava la sorella della protagonista), anche lei pattinatrice e vittima dei disturbi della madre e della sorella.

Questa in breve è la trama di Spinning Out, serie che all'inizio avrebbe dovuto essere interpretata da Emma Roberts, che fu invece costretta a rinunciare alla serie per via dei suoi altri impegni. La scelta di sostituirla con Kaya Scodelario si è mostrata senz'altro adatta al ruolo: l'attrice, infatti, appare decisamente credibile nei panni di una ragazza che non solo ha smarrito il coraggio di seguire le proprie ambizioni, ma che soprattutto rischia quotidianamente di perdersi dentro la paura di diventare l'ombra di sua madre, una donna senza prospettive e senza cuore, che si rifiuta di prendere le medicine che le impedirebbero di trattare male le sue figlie. Kat è un personaggio colmo di fragilità: la sua condizione familiare così come quella fisica non fanno altro che aggravare uno status mentale in qualche modo danneggiato dalla caduta con cui si apre Spinning Out, che le rendono quasi impossibile anche solo ammettere di voler ancora danzare sul ghiaccio e mostrare ad una platea più o meno folta le sue abilità da pattinatrice.

Ed è proprio nella costruzione della sua protagonista che Spinning Out trova il proprio marchio distintivo. Kat, infatti, non è un personaggio tipico, da serie televisive a cui siamo abituate. È un personaggio sì fragile, ma allo stesso tempo è un personaggio con cui è difficile scendere in empatia. E questo non perché il suo disturbo la rende in qualche modo inaccessibile al grande pubblico, ma perché la sua indole – formata da anni di soprusi, notti in bianco e terrori di imprevisti, appunto, imprevedibili – è fatta di freddezza, di risposte al vetriolo, di atteggiamenti che risultano molto spesso fastidiosi. Tanto che, durante la visione dei dieci episodi, non è così assurdo provare un moto di fastidio verso l'"eroina" per cui invece dovremmo fare il tifo. Ma proprio questa caratterizzazione cruda, che non tende minimamente a offrire una mano al proprio pubblico, ma che invece sembra volerlo prendere a schiaffi, è l'aspetto positivo della serie, la sua capacità di raccontare una realtà cupa, seppur ammantata dalla purezza della neve e del bianco che si vede sullo schermo quasi per tutto il tempo, grazie anche agli scenari del Canada dove la serie è stata realizzata. Il percorso di Kat è un percorso umano fatto di alti e bassi, ma anche profondamente credibile, che non cede a facili ricatti emotivi e che non cerca costantemente l'approvazione del pubblico. In effetti ciò che è interessante è proprio la scelta di raccontare di un mondo sfavillante e pieno di colori come quello del pattinaggio sul ghiaccio – a cui siamo abituati a pensare come a un mondo fatto di canzoni, lustrini e sorrisi – riducendolo però ai toni freddi di un inverno che sembra non voler finire mai.

Intorno all'universo di Kat, poi, ci sono molti altri microcosmi che sembrano gravitare intorno a quelli della ragazza, come satelliti che cercano di trovare la propria identità pur senza riuscirci. Microstorie che servono da contorno e che aiutano a costruire un quadro più generale del mondo dei protagonisti, più concreto. Dalla migliore amica della protagonista che si trova a dover affrontare un brutto infortunio, ai genitori di Justin che stanno loro malgrado vivendo una fase delicata del loro rapporto. E poi c'è Serena, forse il personaggio più fastidioso della messa in scena, coi suoi sbalzi d'umore che farebbero pensare ad una diagnosi bipolare anche per lei e che invece hanno a che fare solo con la fase adolescenziale che sta vivendo e l'impossibilità di vivere in una famiglia normale, dove tutte le persone che ama sembrano sempre troppo ben disposte ad andarsene e a lasciarla indietro. Ancora una volta Spinning Out si merita un applauso non tanto negli intenti narrativi, ma proprio per la sua volontà di trattare temi decisamente delicati e non così scontati per una serie in onda su Netflix: si parte dall'agonismo ma si arriva a parlare di disturbo bipolare, di autolesionismo, di gravidanze interrotti e adozioni difficili. C'è un accenno – proprio un accenno, giusto sottolinearlo – ad una storia d'amore in chiave LGBT+, ma si parla anche di rapporti sbagliati e morbosi, di illusioni ingranti e del sudore e del sangue che si celano molto spesso dietro i sorrisi a cui i pattinatori si sottomettono in nome di uno sport che premia molto più l'estetica, proprio come era già stato sottolineato nel bel film I, Tonya che vedeva Margot Robbie nei panni della pattinatrice Tonya Harding, che per tutta la sua carriera si è vista messa in un angolo perché i suoi vestiti non erano mai troppo alla moda e il suo aspetto quasi campagnolo non poteva competere con quello leggiadro delle sue rivali.

Ma Spinning Out non è un prodotto perfetto: alle buone intenzioni e all'ottima fotografia non sempre si controbilancia un risultato ai massimi livelli. Alcune svolte narrative, che dovrebbero giocare il ruolo di quei plot twist necessari ad ogni racconto che si rispetti, sono profondamente banali, tanto che lo spettatore riesce ad indovinare con largo anticipo quello che avverrà. Inoltre c'è spesso un uso esagerato del melodramma, che rischia di mandare in aria la costruzione fredda e realistica che la serie sembra voler inseguire per la maggior parte del tempo. Infine – ma questo ha a che fare profondamente con il gusto personale – il finale della serie (che lascia già prevedere l'esistenza di una seconda stagione) è quanto di più frustrante si potesse immaginare. In sintesi, dunque, Spinning Out è una serie che, a livello di trama, sembra dover molto al romanzo di Mariana Zapata, edito da Newton Compton Editori con il titolo di Non so perché ti amo, ma che si concentra su tematiche importanti e spinose, ma che forse non riesce ad arrivare fino in fondo alle sue intenzioni. Rimane un prodotto di intrattenimento decisamente interessante e che, per gli amanti del pattinaggio artistico sul ghiaccio, è un must see.

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