Confronting a Serial Killer (2021)
Confronting a Serial KillerProdotto e diretto dal regista nominato all'Oscar e vincitore di un Emmy Joe Berlinger, Confronting a Serial Killer è una docuserie che racconta la storia della relazione senza precedenti tra l'acclamata autrice e giornalista Jillian Lauren e il serial killer più efferato della storia americana, Samuel Little.
Samuel Little è stato dichiarato il serial killer più efferato della storia americana. Jillian Lauren, autrice, giornalista, moglie e madre di due figli adottivi, è stata l'unica giornalista a riuscire a parlare con lui. Nella storia del crimine americano mai c'era stata una relazione come quella tra Jillian Lauren e Samuel Little.
Nel 2018 la scrittrice Jillian Lauren decise di provare qualcosa di nuovo e di scrivere un giallo. Le sue ricerche la portarono in una prigione di stato di massima sicurezza nel deserto a nord-ovest di Los Angeles, per un incontro faccia a faccia con lo strangolatore seriale Samuel Little. Cinque anni prima Samuel Little era stato condannato a tre ergastoli per gli omicidi di tre donne avvenuti negli anni '80 a Los Angeles. Il detective che lo aveva arrestato, Mitzi Roberts, raccont a Jillian Lauren che sospettava che potesse aver commesso molti altri omicidi. La giornalista, con un passato da prostituta e vittima di violenze domestiche, si sentì così costretta a scavare più a fondo.
Durante la seconda visita di Jillian, Samuel Little, che aveva sempre sostenuto con veemenza la sua innocenza, inizi improvvisamente a confessare una moltitudine di omicidi, dando inizio a una macabra conversazione che sarebbe durata poi due anni. Jillian Lauren ha quindi iniziato a raccogliere dettagli che Little non aveva mai condiviso con altri, aiutando così le forze dell'ordine a risolvere molteplici vecchi casi di omicidio.
Secondo L'FBI Samuel Little ha ucciso da solo più persone di qualsiasi altro individuo nella storia americana. Ha infatti confessato di aver ucciso 93 persone durante quattro decenni di follia criminale, che sono più vittime di quelle dei serial killer Ted Bundy, John Wayne Gacy e Jeffrey Dahmer messe insieme.
Altrettanto sbalorditiva è la constatazione di come egli pass quasi inosservato, arrestato e rilasciato più e più volte nel corso dei suoi quaranta anni di follia omicida, mettendo in luce un'enorme falla del sistema giudiziario e soprattutto il pregiudizio sociale nei confronti delle vittime da lui scelte: donne, prevalentemente di colore, che vivevano ai margini della società.
Mentre Jillian Lauren estorce innumerevoli dettagli da Little sui crimini commessi, noi ascoltiamo in prima persona quali sono i fattori che eccitano Samuel Little, quali esperienze lo hanno plasmato e come è diventato il mostro poi passato alla storia.
Prodotta e diretta dal regista candidato all'Oscar e vincitore di un Emmy Joe Berlinger, la serie Confronting a Serial Killer racconta questa storia agghiacciante attraverso l'esclusiva partecipazione dei protagonisti, Jillian Lauren e Samuel Little, oltre a persone provenienti dalle famiglie che hanno trascorso decenni nell'incubo di non sapere chi avesse ucciso i loro cari, e forze dell'ordine che ancora dopo anni stavano indagando con ostinazione su vittime di omicidi a cui nessuno sembrava essere interessato: prostitute, tossicodipendenti e donne povere, persone dimenticate di cui nessuno si era più preoccupato.
Il cast include il detective della polizia di Los Angeles Mitzi Roberts, il procuratore di Los Angeles Beth Silverman, che tolse definitivamente la libertà a Samuel Little, e l'ultima sopravvissuta di cui siamo a conoscenza, Laurie Barros. Vediamo e ascoltiamo inoltre decine di detective in tutto il Paese mentre continuano a indagare sulle dozzine di omicidi di cui è ritenuto colpevole Samuel Little, nella speranza di poter dare delle risposte alle famiglie in lutto.
La serie svela storie del passato ed eventi che si svolgono nel presente, con le forze dell'ordine di tutta la nazione che tentano di identificare le vittime tramite le confessioni di Little per potere finalmente dare pace alle loro famiglie. Finora, sulla base delle descrizioni di Little e dei ritratti inquietanti che ha disegnato, sono state identificate più di 60 vittime.
Confronting a Serial Killer segue Jillian Lauren mentre si assume il compito gravoso di risalire ai nomi delle vittime di Samuel Little, correndo contro il tempo per verificare le molteplici confessioni su omicidi irrisolti che Little afferma di aver commesso a Los Angeles. Ad esempio, grazie al dialogo con Samuel Little e alla sua vasta conoscenza del caso Jillian ha portato alla luce una vittima che si conosceva solo come "ALICE". La missione di Jillian Lauren era quindi identificare queste vittime senza nome e portare risposte alle loro famiglie, prima che Samuel Little, ottantenne e in cattive condizioni di salute, morisse lasciando quasi 30 vittime senza nome.
INFO TECNICHE
Titolo Italiano: Confronting a Serial KillerTitolo Originale: Confronting a Serial Killer
Genere: Documentario, Crimine
Stagioni: 1 - Episodi: 5 (durata media 60 minuti)
Nazionalità: USA | 2021
Stagioni e Episodi
Stagioni - Episodi | Prima Visione Assoluta | Prima Visione Italia |
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Stagione 1 Episodi 5 | domenica 18 Aprile 2021 su STARZ | domenica 18 Aprile 2021 su STARZPLAY |
Cast e personaggi
Regia: Joe BerlingerSceneggiatura: Jillian Lauren
Produttori: Joe Berlinger (Produttore esecutivo), Po Kutchins (Produttore esecutivo)
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CONFRONTING A SERIAL KILLER
Lettera del regista JOE BERLINGER
(New York City, Marzo 2021)
Le storie sul crimine in generale e sui serial killer in particolare sono arrivate agli antipodi tra il pubblico: il genere non è mai stato così amato o così odiato. Quindi potresti chiederti: perché fare un ennesimo show su un ennesimo feroce serial killer? Questa è esattamente la domanda che mi sono posto all'inizio di questa e di ogni altra storia che scelgo di raccontare. Affronto un argomento solo se pu avere un impatto su qualcosa che deve cambiare.
Purtroppo alcuni programmi true crime sembrano crogiolarsi nella miseria altrui a beneficio dell'intrattenimento, ma la maggior parte di noi che realizza questo tipo di film, documentari e serie televisive, si impegna a utilizzare questo mezzo per influenzare il cambiamento sociale, spesso mettendo in luce i difetti del sistema giudiziario penale, cercando sempre di trattare le vittime con rispetto. Una parte significativa del mio lavoro ha esplorato i pregiudizi affrontati dagli uomini condannati. Come uomo bianco privilegiato, dirigere questa docuserie di cinque ore mi ha aperto gli occhi sulla realtà di come le donne vivono la paura quotidiana della violenza, qualcosa che conoscevo solo intellettualmente, ma che ora è impresso nella mia coscienza.
Nei miei precedenti film sulla giustizia penale, mi sono concentrato su singoli individui, ribelli e turbolenti, per far luce su casi specifici, come la condanna ingiusta dei tre di West Memphis in Paradise Lost. Ma la storia del serial killer Samuel Little mi ha fatto capire che il mio precedente obiettivo era forse troppo ristretto. È il sistema stesso che deve cambiare. Samuel Little è scivolato ripetutamente tra le mani delle forze dell'ordine a causa di pregiudizi, razzismo e pregiudizi di genere. Polizia, avvocati, giudici e giurati hanno ripetutamente disatteso le vittime di Little.
Il serial killer più efferato della storia americana è morto nelle ultime ore del 2020. A differenza delle 93 donne che ha strangolato a mani nude, Samuel Little ha vissuto abbastanza per vedere la vecchiaia, vivendo per lo più al volante dell'auto che ha usato per rapire e uccidere il suo vittime. Dal 1971 fino agli anni Ottanta, Little cercato le sue prede ai margini della società. Ha strangolato prostitute, tossicodipendenti, madri single, persone con problemi di salute mentale e soprattutto donne di colore. Credeva che nessuno avrebbe cercato questo genere vittime. Si sbagliava. Credeva anche anche che la scelta della vittima sarebbe stata la chiave per la sua libertà e, purtroppo, aveva ragione. Finché non sono intervenute alcune donne coraggiose.
Nonostante una fedina penale lunga centinaia di pagine, Little ha eluso la giustizia per più di quarant'anni. Grazie agli sforzi della detective della Omicidi della polizia di Los Angeles Mitzi Roberts – che ha utilizzato la tecnologia del DNA per risolvere tre casi di omicidio degli anni '80 – e del vice procuratore distrettuale Beth Silverman, un giudice di Los Angeles nel 2014 ha finalmente condannato Little a tre ergastoli, decenni dopo avere commesso gli omicidi. I sei anni successivi hanno segnato il suo periodo più lungo dietro le sbarre, dove ha continuato a negare di essere colpevole fino a quando non è entrato in contatto con una scrittrice di successo.
Durante la ricerca di un'idea per un romanzo giallo, Jillian Lauren ha intervistato la detective Roberts, che ha detto all'autrice di avere la sensazione che Little fosse colpevole di molti altri omicidi. E che l'indifferenza, i pregiudizi e il passare del tempo avevano lasciato non identificate la maggior parte delle vittime, che così non avevano mai ricevuto giustizia. Perseguitata dall'idea che Samuel Little sarebbe stato ritenuto responsabile solo per tre omicidi, Jillian ha abbandonato la sua idea per il romanzo e si è trovata faccia a faccia con un serial killer, spinta a risolvere casi dimenticati allo scopo di farlo condannare. Non sapeva che stava entrando in un campo minato psicologico con un uomo che presto avrebbe voluto uccidere anche lei.
In Jillian ho trovato uno spirito affine. Mentre tentavo di dare una voce agli emarginati, Jillian si è attivata non solo per dare loro una voce, ma anche per restituire loro i nomi e la dignità. Quando Jillian ha avviato il progetto, la stragrande maggioranza delle vittime di Little erano omicidi irrisolti, donne anonime e non identificate, per il sistema non era nient'altro che un sottile fascicolo che raccoglieva polvere in un ripostiglio. In qualità di ex lavoratrice del sesso e tossicodipendente vittima di violenza domestica e di tentato omicidio, Jillian aveva una comprensione più profonda di come comunicare con un serial killer. Ma quelle stesse esperienze che hanno sollecitato le confessioni erano anche la causa del trauma di Jillian, quindi sono stato molto colpito dalla profonda riserva di coraggio a cui Jillian ha attinto per affrontare questo assassino spietato che in un primo momento ha fermamente negato ogni suo crimine.
Confronting a Serial Killer è uno studio sul personaggio di Jillian e su molte altre donne coraggiose che alla fine sono riuscite a far condannare questo psicopatico per tutto il male che ha causato. Una delle poche vittime sopravvissute di Little, Laurie Barros, è ora una terapista traumatologica e sua figlia vuole diventare un'agente di polizia. Decenni dopo che Barros era stata scaricata, data per morta, tra la spazzatura, la partecipazione al nostro progetto le ha dato l'idea di rivisitare la scena del crimine.
Barros ha persino interrogato l'avvocato dell'accusa che a suo tempo la ritenne non credibile come testimone, fatto che ha permesso a Little di uccidere altre donne per molti anni. Laurie Barros ha detto: "Sapevo che partecipare a questo progetto sarebbe stato doloroso, tanto valeva farlo bene."
Confronting a Serial Killer mette in luce la negligenza sistemica che continua a deludere le comunità prive di diritti civili. Fino a quando non ci sarà equità nel nostro sistema legale, i serial killer sfuggiranno alla cattura. Mostri come Samuel Little non dovrebbero mai avere la possibilità di uccidere impunemente e soprattutto grazie a un sistema che privilegia il valore di alcune vite umane rispetto ad altre.
Dichiarazioni di Jo Berlinger (regista e produttore esecutivo), Po Kutchins (produttrice esecutiva), Jillian Lauren (autrice e giornalista) al SXSW PANEL (16 marzo 2021)
Jillian, perché hai sentito un tale legame con le comunità emarginate prese di mira
da Samuel Little?
Jillian: Quando ho sentito parlare per la prima volta di questa storia, è stato proprio questo che mi ha colpito. Mi sono detta: "anche io ho subito la violenza domestica e sono vittima di un tentato omicidio, ma sono sopravvissuta. Posso parlarne, anche se credo che molte persone preferirebbero fare finta nulla". Penso che sia un tema importante, riesco a parlare la loro stessa lingua e dire "ho vissuto la stessa esperienza di tua madre, so che era una persona e possiamo iniziare da lì". È stato un progetto dettato dalla passione.
Joe, come ti sei preparato da regista a trattare questo argomento delicato e come
hai guadagnato la fiducia delle persone presenti nella docuserie?
Joe: Ho creato un bel po' di documentari e serie sul crimine nel corso degli anni ma la maggior parte di essi trattavano il tema delle condanne ingiuste. Questa storia ha davvero attirato la mia attenzione perché se è mai esistito qualcuno che doveva essere incarcerato, era questo ragazzo. Ha eluso la giustizia ma soprattutto la giustizia è stata negligente. Non ho mai visto una situazione in cui qualcuno sia capitato nelle mani delle forze dell'ordine così tante volte, con così tante occasioni di essere consegnato alla giustizia. Ma il radicato razzismo e il preconcetto pregiudiziale contro le comunità emarginate non hanno fatto scattare certe persone nelle forze dell'ordine. Sono dovute intervenire un gruppo di donne potenti, come il detective Mitzi Roberts, il procuratore distrettuale di Los Angeles Beth Silverman e Jillian Lauren. Questo è ciò che mi ha davvero attratto nel voler raccontare questa storia, è una finestra sui problemi sistemici del nostro sistema giudiziario. Per quanto riguarda la fiducia delle persone coinvolte, sia Po che io abbiamo un ottimo curriculum, quindi quando abbiamo detto alla gente cosa volevamo fare e che il nostro desiderio era di focalizzarci sull'estrazione sociale delle vittime, dettaglio che di fatto ha svelato alcuni seri limiti del nostro sistema giudiziario penale, hanno collaborato. Il motivo principale per cui sono entrato nel progetto è stato un articolo di Jillian sul New York Magazine. Ho pensato "come ha fatto Jillian a convincere quest'uomo – che ha negato i suoi crimini per decenni – a sentirsi talmente a proprio agio da iniziare a confessarsi?" Molte trasmissioni true crime vengono criticate per non essere focalizzate sulla vittima. Perché stiamo dando risalto ad un serial killer? Perché lo celebriamo? Ovviamente stiamo dando voce a questo serial killer perché le persone hanno bisogno di capire la natura orribile di questo tipo di criminali. Il fatto un mostro di questa portata sia riuscito a cavarsela per così tanto tempo e che ci fosse una tale indifferenza nel consegnarlo alla giustizia, è semplicemente sbalorditivo. Quindi sì, stiamo dando voce a un assassino, ma la maggior parte della docuserie riguarda donne forti che cercano di far soccombere questo uomo.
Po, come sei riuscita a convincere le persone intervistate a raccontare il trauma che
hanno subito?
Po: Uno dei fratelli delle vittime, Bob DuPree, dice "Siamo tutti vittime di Samuel Little" per cui li abbiamo trattati come tali. L'effetto collaterale di questo tipo di crimine, le vittime stesse che spesso hanno subito un trauma in precedenza che le ha fatto precipitare in uno scenario in cui potevano imbattersi in Samuel Little, le loro famiglie che sono state colpite da questa violenza e che continuano ad esserlo: tutto questo succede quando il mondo fa finta di niente di fronte a questo genere di crimini. Hanno sentito uno stigma e hanno sentito questo trauma in corso. Non puoi semplicemente presentarti e chiedere di raccontare. Ognuno di loro ha una storia e noi siamo stati spesso abbastanza fortunati da avere ricevuto dichiarazioni su quanto parlare con noi fosse stato catartico per loro. Pearl Nelson, che è la figlia di una delle vittime di Los Angeles per cui fu finalmente condannato, ci racconta come non fosse mai riuscita a parlarne. Portava dentro un senso di vergogna indotta dalle forze dell'ordine che non avevano fatto nulla e di fatto avevano diffamato il ricordo della loro amata defunta. Inoltre, abbiamo incontrato altri sopravvissuti e sentito le storie di come hanno convissuto con questo trauma. È stata una grande sfida convincerli a partecipare. Devi muoverti passo passo e mostrare loro che provi empatia, perché sono incredibilmente diffidenti come è giusto che sia. Abbiamo l'enorme responsabilità di dare loro questa vetrina dove raccontare la loro storia, per assicurarci che sia raccontata in un modo che faccia luce su ciò che è accaduto e consenta anche a quella vittima di essere di nuovo una persona completa, perché Samuel Little l'ha cancellata. Vogliono che il resto del mondo le ricordi non come vittime ma come esseri umani pieni, interi, con le possibilità che lui ha tolto loro. Siamo ancora in contatto con loro. Sono molto importanti, e le abbiamo aggiunte – in particolare le donne sopravvissute a Samuel Little – alla lista di donne forti che hanno superato questa cosa. Non riesco a immaginare la forza d'animo e il coraggio che devono avere.
Jillian, cosa ne pensi della battaglia per consegnare Samuel alla giustizia? Pensi
che così le vittime siano "meno morte"?
Jillian: Quando guardi la fedina penale di Samuel vedi che non è che sia stato arrestato a giorni alterni solo per piccoli furti ma ci sono anche accuse di aggressione, stupro, omicidio, sequestro di persona, tentato omicidio … Ha scontato meno di dieci anni per crimini commessi in quattro decenni. Ho pensato la stessa cosa che pensava Joe quando ho iniziato a mettere insieme una sequenza temporale. Non avevo davvero idea di cosa mi aspettassi, e il detective Mitzi Roberts e il Procuratore distrettuale di L.A. Beth Silverman hanno confermato che quando hanno esaminato questo caso e le sue condanne, hanno notato che per ciascuna era stato arrestato più o meno ogni tre giorni. Sono centinaia di pagine. Tutti si sono chiesti come fosse stato possibile. Ci sono tantissime persone che portano un grande fardello che se lo stanno chiedendo. Come dice Po, ottieni le risposte prendendo tempo ed essendo rispettoso. Per quanto riguarda le vittime "meno morte" non so come risponsdere. Ma se pensate a South LA negli anni '80 se trovavano una prostituta morta in un vicolo, avrebbero detto che non c'erano "umani " coinvolti. C'è un omicidio ma nessun essere umano coinvolto. Non erano visti come esseri umani, non solo nella morte, anche dal sistema educativo, dal sistema sanitario e dall'attenzione dedicata alle comunità emarginate.
In che modo la realizzazione della serie ti ha colpito mentalmente?
Po: Come donna ho subito le ingiustizie che tutte le donne vivono nella nostra società, perché c'è una misoginia incredibile e ci sono varie tipologie di violenza contro le donne che sono di fatto accettate. Grazie a Dio il problema sta diventando parte della conversazione ma non riesci lo stesso a separartene perché lo stai vivendo. Quella di Jillian è un'altra storia, ed è lei a dovere approfondire questo argomento. Parlare con le persone che hanno vissuto questa storia mi fa sentire addolorata e come madre riesco a mettermi nei panni delle varie persone coinvolte. Quando torno a casa e vedo mia figlia non voglio che ne venga a conoscenza ma poi penso anche che è giusto rendere note le loro storie. Puoi mettere i paraocchi, ma sta accadendo ed è il motivo per cui facciamo tutto questo: accendere una luce e cercare di innescare conversazioni più ampie che per causare un cambiamento. Dici che stai facendo il tuo lavoro e ti sembra, superficialmente, di mantenere la distanza dagli eventi ma la realtà ti colpisce in faccia. Dovresti avere del tempo libero per fare altro ma la storia resta con te, Samuel è ancora con te e i suoi crimini e le sofferenze sono ancora al tuo fianco. È un grande, grande fardello, ma sento che dobbiamo portarlo anche noi perché non si può lasciare che siano le vittime e le loro famiglie a portarlo. Mi sento obbligata ad essere testimone e fare qualcosa al riguardo.
Joe: È stata Jillian a dovere entrare nella psicologia di quest'uomo dal vivo e in tempo reale e so che non è stata una grande esperienza per lei. Ma mi occupo di parlare di crimini e vittime da po' e ho imparato a compartimentalizzare come meglio posso. All'inizio della mia carriera ho realizzato un film intitolato Paradise Lost. Quando lo stavamo ancora montando ho esaminato le immagini delle scene del crimine e centinaia di foto dell'autopsia. Ho guardato cose successe a tre bambini di otto anni che nessuno dovrebbe mai vedere. Ricordo che tornavo a casa con quelle immagini nel cervello e avevo una figlia di 18 mesi nella culla. Dopo una lunga giornata di editing, ho preso in braccio la mia bimba e avevo quelle immagini negli occhi durante quello che avrebbe dovuto essere solo un prezioso momento di paternità. Ho iniziato a risentirmi del progetto perché mi sentivo come se un po' della mia innocenza paterna mi fosse stata rubata. Ho passato un periodo difficile, ma da allora ho imparato a compartimentalizzare e, cosa più importante, a usare il dolore degli altri come motivatore. Sono così privilegiato e fortunato che posso effettivamente raccontare storie per vivere e cerco di raccontare storie che facciano luce su problemi istituzionali o altri che andrebbero affrontati. Lo tengo sempre a mente ed è per questo che quando sono in questo spazio true crime – (in realtà odio questa definizione perché sembra che sguazziamo nella miseria altrui a scopo di intrattenimento) – mi assicuro di essere responsabile nel raccontare le storie delle persone. Devi raccontare storie in modo responsabile e dovresti accettare una storia di vittimizzazione solo se c'è un messaggio da trasmettere che aiuterà a risolvere una situazione o far luce su di essa. Per quanto sono dolorose e orribili, sono veramente grato di essere il narratore di queste storie e non il soggetto. Cerco di tenerlo sempre a mente e di usarlo come motivazione.
Jillian, com'è andata questa cosa per te, visto tutto quello che avevi già passato nella vita?
Jillian: Ci sto lavorando. Non sono sicura di guarire le mie ferite, ma trovo loro un senso quando posso raccontare una storia, quando posso metterla nera su bianco, inserirla in un dialogo pubblico più ampio e trovarvi uno scopo. Non so se, con o senza Samuel Little, impiegherò tutta la vita a riprendermi, ma lui ne è parte. È particolarmente dannoso avere a che fare con uno psicopatico così a lungo e può davvero avere ripercussioni. Anche questo ne fa parte; è di questo che scrivo ed è così che lo faccio. Prendo in mano la narrazione che non è più di Samuel, ma mia. Aveva anche lui una sua narrativa, ma sto scrivendo io il libro e Joe sta realizzando la serie. Ero entusiasta quando Joe mi ha contattata perché sapevo che è il suo campo e che così possiamo raggiungere temi universali di pregiudizi che per essere corretti devono essere evidenziati. È orribile ascoltare quelle storie e ce n'è una particolarmente brutta. Non sono un fiore delicato ma non posso negare che ogni volta che penso a quella storia vorrei versare una lacrima.
Joe, cosa si devono aspettare gli spettatori dopo i primi due episodi che abbiamo visto al SXSW? E quanto approfondite la storia di Sam e di come è diventato un tale mostro?
Joe: Non vogliamo svelare troppo ma per me la parte più eccitante della serie è che mentre Jillian raccoglie sempre più informazioni, la storia si sposta sempre più nel tempo presente, con Jillian che scambia gli indizi che ha scoperto da Samuel con l'FBI e i Texas Rangers, ecc. Per me la parte più eccitante del documentario e il motivo per cui l'abbiamo realizzato è che le informazioni ottenute da Jillian vengono effettivamente utilizzate per risolvere casi di omicidio chiusi da anni. Purtroppo, la maggior parte delle vittime di Samuel erano anonime, lasciate nell'arco di quarant'anni in tutto il Paese. Le forze dell'ordine e Jillian fanno un ottimo lavoro nel collegare le confessioni di Samuel ai casi. Bisogna ricordare che si tratta di un uomo che ha negato, negato e negato, e quando ha finalmente confessato le informazioni sono state usate per dare risposte alle famiglie delle vittime. Quando la persona amata muore e le forze dell'ordine ti dicono che è per cause naturali ma ha la faccia è sfondata (cosa che accade in una delle nostre storie) è davvero mortificante per la famiglia. Per me la parte più eccitante che vedremo nel corso dei prossimi episodi sono le identificazioni delle vittime e i casi risolti. Nel mentre approfondiamo anche il retroscena di Samuel. Penso che una delle cose davvero interessanti sia che grazie all'empatia e alla capacità di Jillian nei suoi colloqui con Samuel, si riesce davvero a capire meglio questo mostro, otteniamo alcune informazioni sulla sua infanzia. L'altro filo è che se i primi due episodi sono scioccanti per l'indifferenza del pubblico ministero (e a proposito, voglio dire che ci sono molti grandi pubblici ministeri là fuori, ci sono molte persone fantastiche nelle forze dell'ordine quindi non voglio generalizzare) vediamo più avanti che ci sono alcune persone nelle forze dell'ordine che hanno cercato di fare del loro meglio ma sono state paralizzate da un sistema indifferente, ci sono problemi inerenti al sistema. Quindi, se vi ha scandalizzato il racconto nei primi due episodi di come Samuel fosse nelle mani delle forze dell'ordine prima e libero subito dopo, le cose peggiorano ancoranti successi due.
Po: Nei due episodi successivi Jillian riesce con coraggio a mostrarci gli effetti di questa storia e ad essere così profondamente coinvolti. Le conversazioni con Samuel influiscono su lei e sulla sua famiglia, e ci permette di avvicinarci abbastanza da notarlo. E questo è un'altro tema che si rivela con l'avanzare gli episodi. Voglio inoltre sottolineare che ci sono stati alcuni poliziotti a altre persone che ci hanno davvero provato. Erano devastati dal pregiudizio insito nella giuria, hanno capito che per loro si trattava di "morti minori". Si sentivano responsabili. C'era un'insensibile indifferenza, c'erano persone che hanno catturato Samuel Little e lo hanno lasciato andare ma c'erano altre persone che hanno fatto tutto il possibile. C'erano pubblici ministeri che non volevano approfondire i casi, c'erano giurie che non credevano alle persone, ma è vero anche il contrario.
Hai incontrato ostacoli nel raccontare la storia?
Jillian: Le persone tendono a farmi domande come se ci volesse una specie di trucco mentale Jedi per parlare con un serial killer. Non penso che sia vero, ma penso che devi guardare più in profondità le parole che escono dalla loro bocca per sapere che tipo di risposta stai ricevendo. Ci è voluto molto tempo e inoltre ero partita con l'intento di risolvere eventuali omicidi. Volevo essere un testimone, volevo accedere la miccia e speravo che altre persone sarebbero poi state interessate a risolvere gli omicidi. Ma sono stata in grado di carpire quello che non stava dicendo attraverso le parole e ciò mi ha fornito più informazioni di quelle che gli uscivano effettivamente dalla bocca, il che probabilmente vale per tutti noi ma vale molto più per le persone che hanno un disturbo antisociale della personalità.
Cosa speri di ottenere attraverso la serie?
Joe: Ho passato molto tempo a realizzare film e programmi TV sul sistema giudiziario penale. Molto si è concentrato su quanto sia pregiudiziale nei confronti dei condannati. Questa serie è stata una vera lezione per me, maschio bianco e privilegiato, per comprendere a fondo come le donne vivano con la paura quotidiana della violenza. Quando ho guardato quella fedina penale e mentre approfondivamo la storia, mi ha colpito sopratutto l'idea che la vittima che proviene da una comunità emarginata – sia che si tratti di una prostituta, un tossico o qualcuno con problemi di salute mentale – viene letteralmente trattato come un "meno minore". Lo sapevo già dentro di me, perché ho visto quanto pregiudizio ci sia nel sistema giudiziario penale, in termini di disuguaglianze razziali nelle condanne, un pregiudizio che porta a condanne errate. L'avevo appurato in generale sulla popolazione maschile, ma questa storia mi ha mostrato quanto profondamente ci sia un pregiudizio contro le donne e le persone con problemi e mi ha aperto gli occhi. Spero che riusciremo a capire come risolvere questo problema. Siamo in un grande momento di risveglio culturale e penso che le persone siano più disponibili a prenderne atto adesso, e spero che le forze dell'ordine arrivino a trattare una prostituta scaricata in un vicolo come se fosse uno studente di Harvard. Questo è il problema; formuliamo giudizi di valore sulle persone, ma la giustizia dovrebbe essere cieca e uguale per tuttu. Abbiamo molti problemi in questo Paese e molti problemi nel sistema giudiziario penale, ma trattare tutte le persone allo stesso modo, sia dal punto di vista delle condanne che da quello delle vittime, è ciò di cui parla questo documentario.
Po: Si tratta di empatia ed equità nell'empatia. Quando le persone mostrano empatia è perché capiscono l'altra persona. Frasi tipo "non se lo meritava" o "se l'è cercata" sono distaccate dalla domanda sul perché e cosa fosse successo prima, su cosa li abbia portati lì e cosa fa sì che questo possa accadere loro. Una delle cose principali è che gli spettatori possano guardare la serie e capire che c'è una incredibile differenza tra il modo in cui alcune comunità vengono trattate rispetto ad altre e anche se lo spettatore non fa parte della comunità maltrattata deve arrivare il messaggio che non è una cosa su cui chiudere un occhio, non va bene. Si tratta di riconoscere i propri pregiudizi su come si vedono gli altri, e riconoscere i pregiudizi che sono endemici ovunque nelle forze dell'ordine e nelle comunità da cui vengono selezionati i giurati. Quindi sento davvero che queste vittime meritano di essere riabilitate, è tutto ciò che possiamo fare per aiutare i loro familiari in vita, i sopravvissuti e le vittime stesse. C'è chi pensa "è stato condannato, che importanza ha identificare tutte le vittime?" Invece è importante. Le vittime meritano rispetto e meritano la conferma che portarlo in tribunale e dichiararlo colpevole (quando era ancora possibile) sarebbe stata una cosa giusta e importante da fare. Quella di cui parla Jillian, una resa dei conti che coinvolge l'opinione pubblica, tutti i coinvolti meritano questa giustizia.
Jillian, cosa speri di lasciare alle persone con questa docuserie?
Jillian: Ero così entusiasta di avere Joe e Po al mio fianco, di sentirmi supportata in questo progetto. La loro spinta per la giustizia sociale è davvero stimolante e commovente, e mi aiuta a muovermi attraverso questo percorso e lasciarlo alle spalle. Detto questo, sento di essere la parte emotiva, sono quella che riesce ad ascoltare le persone senza preconcetti, ma non è un merito, fa semplicemente parte di quella che sono. Non mi sentirai mai dire "non lo meriti" o "non ti merita". Non ci meritiamo niente; otteniamo quello che otteniamo e ascolterò cosa hai da dire dire perché sono sinceramente interessata. Quindi il messaggio che vorrei che le persone ricevessero è questo: ascoltate.
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