L’Aquila – Grandi speranze (2019)
L'Aquila - Grandi speranzeL'Aquila – Settembre 2010. Che cosa accade nell'animo di una persona o nelle relazioni familiari se nel giro di una sola notte si vede crollare e ridursi letteralmente in macerie la propria casa e la propria vita? Dove si trova il coraggio di ricominciare? Come si riesce a superare il dolore di perdite irrimediabili? E a sconfiggere la paura? Attraverso la storia di Silvia e Franco e dei loro amici fraterni, Gianni ed Elena, racconteremo come si possa continuare a vivere dopo il terremoto che, in una sola notte, ha azzerato un'intera città: L'Aquila. È passato un anno e mezzo da quella terribile scossa. Franco e Silvia sono ancora impegnati nella ricerca disperata della figlia Costanza, scesa con loro in piazza del Duomo quella notte e poi scomparsa nel buio delle strade della città, che sembrano averla inghiottita. Gianni, invece, riesce a rientrare in possesso della sua casa nel centro storico de L'Aquila e decide di lottare, insieme alla sua famiglia, per la ricostruzione della città e per far rientrare al più presto gli sfollati nelle loro case. Organizza una grande manifestazione di protesta, proprio quando un costruttore romano si presenta in città con un'idea ambiziosa e visionaria. E i loro ragazzi? A tredici anni hanno trovato nella zona rossa della città, interdetta al pubblico e ridotta in un gigantesco cumulo di macerie, l'occasione per un divertimento proibito. Grazie al potere di una fantasia, che alla loro età non conosce limiti, Davide e Simone, con gli amici Fabrizio e Patrick, sono stati capaci di trasformare il luogo di una catastrofe in un enorme luna park a cielo aperto. L'amicizia aiuta a tenere lontana la paura: il percorso di formazione dei ragazzini aquilani avviene tra le case in rovina, che gli adulti hanno abbandonato senza farvi più ritorno. E per Davide quel gioco diventa anche l'unico modo per provare ad affrontare la scomparsa della sorella.
INFO TECNICHE
Titolo Italiano: L’Aquila – Grandi speranzeTitolo Originale: L'Aquila - Grandi speranze
Stagioni: 1 - Episodi: 6 (durata media 100 minuti)
Nazionalità: Italia | 2019
Stagioni e Episodi
Stagioni - Episodi | Prima Visione Assoluta | Prima Visione Italia |
---|---|---|
Stagione 1 Episodi 12 | martedì 16 Aprile 2019 su Rai 1, Rai 3 |
Cast e personaggi
Regia: Marco RisiSceneggiatura: Stefano Grasso, Doriana Leondeff, Andrea Saraceni, Angelo Carbone
Ideatori: Stefano Grasso (Soggetto di serie e Soggetti di puntata)
Cast Artistico e Ruoli:
Produttori: Jacopo Saraceni (Produttore), Claudio Saraceni (Produttore), Federico Saraceni (Produttore), Francesca Tura (Produttore)
Immagini
NOTE DI REGIA – Marco Ris
Sono stato a L'Aquila per la prima volta nella mia vita un anno e mezzo dopo il terremoto, esattamente quando ha luogo la storia del nostro lungo film. Non conoscevo la città e non sapevo della sua bellezza, potevo soltanto immaginarla: non me ne potevo rendere conto attraversandola a piedi perché era completamente ricoperta dalle impalcature che cercavano di tenerla in piedi come uno scheletro senza muscoli. Quello che mi impressionò fu il silenzio. Sentivo il rumore dei miei passi che attraversavano la zona rossa presidiata da alcune camionette dell'esercito e avevo la percezione assolutamente nuova di essere solo in una città fantasma. Mi dissi: qui devo venire a girare un film! Ma non avevo ancora precisa l'idea di che film avrei voluto girare. L'idea è arrivata cinque anni dopo con questa serie. Che cosa mi ha convinto di questo progetto? Mi è piaciuta molto l'idea degli adolescenti che scorrazzano di soppiatto nella città proibita cercando di riappropriarsene alla loro maniera, augurandosi addirittura che non cambi, che rimanga così perché solo così può essere esclusivamente loro, il loro territorio di conquista. Mi sono piaciuti gli adulti che cercano di rimettere in piedi i pezzi delle loro coscienze e non soltanto i pezzi della loro città. Mi piacciono i piani che corrono paralleli delle due dimensioni: da una parte gli adulti con i loro guai, dall'altra i loro figli che quegli stessi guai vivono di riflesso ma che si gettano nell'avventura di crescere in una situazione assolutamente unica.
NOTE DELL'AUTORE – Stefano Grasso
Io non sono aquilano. Sono stato la prima volta all'Aquila nel 2013, a quattro anni di distanza dal terremoto che l'aveva cambiata per sempre. Non l'ho mai vista prima, e questo "mancato appuntamento" è direttamente legato alla genesi della storia che parecchio tempo dopo ho deciso di scrivere. Quella volta, in realtà, ero andato all'Aquila insieme a un'amica con l'idea di un documentario che poi non è mai stato fatto. Mi ricordo precisamente – nonostante da allora siano passati più di cinque anni – le sensazioni che ho provato quel sabato mattina di gennaio. Avevo visto in televisione servizi e reportage nei giorni successivi al sisma, avevo letto e mi ero documentato, perché già dal divano di casa la storia di una città così importante che improvvisamente, nel giro di una notte, smette di esistere mi aveva colpito profondamente. Ma trovarmi lì, a camminare in quelle strade deserte e abbandonate, era diverso, forse stavo provando qualcosa di simile a quelli che pensano di sapere cosa sia la guerra e ne capiscono la reale crudezza soltanto quando ci si trovano dentro. Nel giorno di quella mia prima visita erano passati quattro anni dal terremoto, eppure il tempo sembrava essersi fermato. Nessun negozio aveva riaperto, nessun abitante era tornato a vivere lì: una città fantasma. Somigliava davvero a uno scenario di guerra, o un'apocalisse. Ma non eravamo in qualche posto lontano dalla nostra cosiddetta civiltà, o nel futuro di un film di fantascienza. Ci trovavamo, io e la mia amica, a un'ora di macchina da Roma, nel cuore dell'Italia. Provai un senso d'incredulità e poi un moto di indignazione, ma subito dopo anche qualcos'altro, qualcosa di meno istintivo e più profondo, che rimase lì a lavorare dentro di me, e mi accompagnò nel mio ritorno verso casa. Non riuscivo a definirlo, ma intuivo che quel sentimento era all'origine della mia decisione di abbandonare l'idea del documentario e di cominciare invece a scrivere una storia di finzione ambientata all'Aquila. Sapevo che stavo andando incontro a qualcosa di molto rischioso: un racconto per forza di cose deve anche intrattenere, e sarei stato capace di farlo nel rispetto del dolore di chi all'Aquila aveva perso genitori, figli, case? Per alcuni mesi abbandonai l'idea del progetto e la ripresi soltanto quando realizzai che cos'era esattamente quella sensazione che avevo provato durante la mia prima visita: era un rimpianto. Un rimpianto struggente, pieno di malinconia, per qualcosa di bello che mi ero perso per sempre, una comunità che prima viveva e respirava in un modo suo, diverso da ogni altra città nel mondo, come sono diverse le persone le une dalle altre, e che adesso non esisteva più. Era su quello che potevo lavorare, perché quel rimpianto era anche mio, e quindi lo potevo condividere: da lì è nata l'idea che è stata poi la base del racconto, il mio rimpianto è diventato quello di quattro ragazzini che non si sono rassegnati a perdere la loro città e decidono, nonostante tutto e tutti, di continuare a viverla. Attraverso di loro ho pensato che avrei potuto viverla anch'io e farla vivere alle persone che avrebbero visto questa storia.