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Everest, la recensione

Everest è un film solido, che non ha paura di raccontare una storia vera senza aggiungere fatti per poter creare scene più cinematografiche. Se vi aspettate un kolossal hollywoodiano sbagliate film.

Everest, scelto come film di apertura fuori concorso per la settantaduesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, è diretto, co-prodotto e montato da Baltasar Kormakur, regista islandese che affianca film più autoriali a pellicole più commerciali. Per raccontare la storia vera di un gruppo di scalatori che organizzano la scalata al monte più alto del Pianeta, l'Everest con i suoi 8.848 metri, il regista si è servito di un cast eccezionale, molti nomi importanti come Josh Brolin, Jake Gyllenhall, Robin Wright, Keira Knightley, John Hawks, Sam Worthington, Emily Watson e Jason Clarke.

1996. Rob Hall (Jason Clarke), esperto alpinista e scalatore, organizza con i suoi fidati collaboratori e grazie alla società da lui fondata, la Adventure Consultants, una scalata al monte Everest, una delle imprese più pericolose al mondo. Il gruppo dovrà vedersela con molte problematiche, tra cui l'invadente presenza di altri gruppi che tentano la scalata, il meteo non del tutto favorevole, le evidenti difficoltà dovute alla inadeguata esperienza e preparazione fisica di alcuni clienti e soprattutto una delle più forti tempeste di neve mai affrontate dall'uomo. 

Raccontare un evento storico realmente accaduto e soprattutto così tragico è sempre molto complicato. Le ragioni sono tante. Innanzitutto si vuole sempre cercare di rendere il più possibile giustizia alla storia e alle persone coinvolte. Seconda cosa si tenta sempre di attenersi ai fatti, soprattutto quando si racconta un qualcosa avvenuto non molto tempo fa, con dei sopravvissuti, dei testimoni, persone che erano lì e che hanno vissuto sulla propia pelle la tragedia. Bisogna quindi essere bravi a rendere tutto ciò abbastanza avvincente per lo spettatore che va in sala a vedere un film e non un documentario, senza però calcare troppo la mano o aggiungere cosè non realmente accadute solo per creare ulteriore tensione, giocando sul fatto che è pur sempre un film. Kormakur è riuscito in tutto ciò.

Everest è una pellicola solida, che basa la sua forza sul racconto, sull'attesa, sulle persone e i loro sentimenti, non spinge l'acceleratore sull'azione o sull'effetto speciale, non si lascia prendere la mano. 

Paradossalmente questo aspetto, verso la fine del film, diventa anche il suo punto debole. Mentre la prima parte è tutta di preparazione all'impresa, di presentazione dei vari personaggi, di studio da parte dello spettatore, la seconda, che poi è quella della scalata e della conseguente tragedia, tranne alcuni passaggi efficaci, resta un pò bloccata su se stessa. Alla fine della pellicola però ci si rende conto che è giusto così, che il film andava fatto in quel modo e che se ci si aspetta di andare a vedere un kolossal di quelli hollywoodiani tutti effetti speciali e scene al limite dell'assurdo si è sbagliato film. Se si deve rinunciare a ciò per poi avere però un'opera più solida e reale, è un giusto prezzo da pagare. E' giusto sottolineare la grande bravura di Jason Clarke che porta sullo schermo, rendendogli giustizia, una delle persone più coraggiose e altruiste mai conosciute; è, a nostro avviso, un attore sottovalutato e poco o mal utilizzato. 

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