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Vampiri, la serie Netflix che non convince


Non convince del tutto la serie 'Vampiri', appena sbarcata su Netflix: in una Parigi odierna un'adolescenza rinuncia alle sue medicine e sviluppa così tutto il suo potenziale di immortale, in un mondo dove il vampirismo è, di base, una mutazione genetica
Voto: 5/10

Dopo Dracula, serie BBC firmata dagli autori di Sherlock e arrivata su Netflix a inizio anno, il colosso dello streaming on demand ha messo a disposizione dei suoi utenti in quarantena una nuova serie dedicata al mito dei non morti, Vampiri. Si tratta di una serie francese tratta dal romanzo omonimo (vampires in originale) di Thierry Jonquet inedito in Italia e che aveva il pregio di raccontare molto bene le banlieu parigine.

In questa ennesima rilettura del mito dei vampiri, questa creatura dell'immaginario gotico ha una valenza più scientifica, e meno legata alla magia. Un po' come già accadeva in Io sono leggenda, il vampiro è una creatura che nasce a seguito di una mutazione genetica. Per questo può essere possibile intervenire sul DNA e cercare di modificare questa situazione. Lo sa bene la protagonista Doina, un'adolescente di Parigi che vorrebbe essere uguale ai suoi coetanei, ma è costretta a prendere delle pillole inventate dal padre umano e ricercatore per tenere a freno la sua altra natura. Tuttavia questo medicinale le impedisce di avere una vita normale: le causa sfoghi sulla pelle di cui si vergogna e la rende un bersaglio facile per gli atti di bullismo nella scuola. Stanca di tutto ciò, Doina decide di smettere questa "cura" e ben presto diventa una minaccia per i suoi amici, rendendoci conto che forse una vita normale non è alla sua portata. Specie quando la comunità di vampiri reclama il ritorno di lei, sua madre e tutta la sua famiglia in seno alla grande famiglia allarganza composta proprio dalla comunità.

Se il libro di Thierry Jonquet aveva il merito di essere un romanzo che utilizzava il tema del vampiro per parlare della decandenza di una Parigi cieca ai bisogno delle fasce più povere e svantaggiate della famosa ville lumiere, la serie di Netflix, composta da 6 episodi soltanto, mira come prima cosa a raccontare una storia personale. Pur scegliendo di strutturare il racconto attraverso una rete fitta di personaggi e relazioni che scavano fin dentro al passato, Vampiri è soprattutto la storia di Doina, di questa ragazzina che non ha ancora bene chiaro chi o cosa sia e che si trova invischiata con un'altra natura che è parimenti familiare ed estranea. La ragazza deve quindi cercare di trovare un nuovo equilibrio e Vampiri cerca di seguire questo filo narrativo, con un'estetica che vuol naturalmente richiamare quella fredda e spettrale già vista in Lasciami entrare, soprattutto nella versione originale.

Il risultato è una serie che al world building strutturato e complesso di una comunità vampirica che fa della lealtà e dell'unione il proprio marchio di fabbrica, controbilancia una storia che sa molto di mélo, che porta all'eccesso la crudità della razza immortale (come ad esempio la scena di due immortali che fanno sesso nel retro di una macelleria in mezzo al sangue) come per voler nascondere le molte e forse troppe lacune della storia in sé. Questo fa sì che Vampiri si presenti agli occhi degli spettatori come un prodotto che aveva delle altissime potenzialità, non da ultimo riportare il mito del vampiro nell'austerità che gli compete senza rinunciare ad uno slancio moderno e scientifico, e che invece si è contentata di essere un prodotto che pur nel suo rating vietato ai minori di 14 anni, finisce con l'essere la vetrina tirata a lucido di un racconto che mira solo a raccontare i turbamenti legati al mondo adolescenziale, tra feste, ribellissioni e sangue umano visto non più come nutrimento e insieme maledizione, ma come semplice droga. Peccato.

Valutazione di Erika Pomella: 5 su 10
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