Una donna chiamata Maixabel, recensione del film di Icíar Bollaín
'Maixabel' è un film ispirato a fatti realmente accaduti e che si concentra sulla forza di una donna di perdonare l'inaccettabile.
di Erika Pomella / 10.07.2023 Voto: 6/10
Il 13 luglio arriverà in sala grazie a Movie Inspired Una donna chiamata Maixabel, pellicola spagnola del 2021 diretta da Icíar Bollaín e ispirata a fatti realmente accaduti. Maixabel – questo il titolo originale dell’opera – è stato inoltre scelto come film di chiusura del Festival del Cinema Spagnolo e Latinoamericano. La storia è quella di Maixabel Lasa (Blanca Portillo), una donna che è costretta a reinventarsi una vita dopo che il marito Juan María Jaúregui (Josu Ormaetxe) ha perso la vita a seguito di un attentato terroristico perpetrato da alcuni agenti dell’ETA, la Euskadi Ta Askatasuna, organizzazione terroristica che combatteva per la libertà del popolo basco. L’omicidio del marito spinge Maixabel a prendere decisioni importanti nel corso della sua vita, come quella di combattere per il riconoscimento dei diritti di tutte le vittime di tutti gli attentati terroristici, a prescindere dalla loro matrice politica. La sua vita, però, è destinata a cambiare di nuovo quando le forze dell’autorità le riportano la notizia che gli assassini del marito Luis (Urko Olazabal) e Ibon (Luis Tosar) vogliono incontrarla, e parlare a quattr’occhi con lei. Una decisione che Maixabel prende nonostante la paura della figlia, che teme di perdere un altro genitore.
Il film ha una struttura che nasconde in bella mostra molteplici temi
Una donna chiamata Maixabel è un film che all’interno della sua struttura nasconde in bella mostra molteplici temi. Se da una parte la storia sembra sorreggersi sulla capacità di perdonare ciò che è indicibile e di accettare l’ipotesi di una seconda possibilità a chi ha privato una persona dello stesso diritto, dall’altro la pellicola si concentra molto anche sulle illusioni perdute di uomini che credevano di combattere per qualcosa di giusto, ritrovandosi poi in mano con le proverbiali mosche e un senso di delusione e sgomento. Maixabel in questo senso racconta anche la fine di un sogno: racconta quel momento in cui gli animi rivoluzionari di questa pellicola prendono consapevolezza della realtà, rendendosi conto che non hanno mai davvero servito un ideale, ma le persone che quell’ideale lo sfruttavano per fare il proprio tornaconto. Il film, dunque, mette uno davanti all’altro due mondi ugualmente distrutti, che hanno perso le colonne portanti che li tenevano insieme. Da questo punto di vista, sebbene con le dovute differenze, Maixabel e gli assassini (soprattutto Ibon) non sono così diversi, ma rispondono al bisogno di comprendere perché le cose sono andate in un determinato modo. Forse, proprio per sottolineare questa ricerca estenuante di una verità che non può essere unica e univoca, il film di Icíar Bollaín si prende il suo tempo per raccontare la sua storia. Da una parte getta lo spettatore in medias res, confondendolo dando per scontato che egli conosca a menadito la storia che sta avvenendo sul grande schermo. Dall’altra, però, la costruzione dell’impianto diegetico avanza molto lentamente, forse anche un filino troppo. Maixabel è un film fatto di frasi lasciate a metà, di sussurri fatti nel cortile di una prigione, di cose non dette e silenzi che si allungano in questo universo dove il colore dominante sembra essere il grigio. La tensione dell’attesa che qualcosa accada non sempre riesce a tenere incollata l’attenzione dello spettatore, proprio perché il ritmo in alcune scene è davvero molto diluito.
Va detto però che la pellicola può fare affidamento su un cast davvero in stato di grazia. Blanca Portillo è di una bravura spropositata e tutta l’empatia del pubblico si riversa su di lei, su questa donna che ha perso l’amore della sua vita e che ancora continua a ricordarlo, anche solo accettando di non farsi cambiare (troppo) dagli eventi. È una donna forte e fragile insieme, una donna che nasconde le lacrime nell’abitacolo di una macchina, che ha vissuto gran parte della sua vita adulta attendendo quella chiamata poi puntualmente arrivata che l’ha messa di fronte alla consapevolezza che la vita non sarebbe stata più quella di prima. La sua recitazione è una recitazione misurata, che non fa uso del melodramma, ma rimane in un equilibrio così perfetto da rappresentare il punto più alto di questa operazione cinematografica.