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True Mothers, recensione del film di Naomi Kawase

Dal Giappone arriva un dramma familiare che ruota intorno alla storia di due donne, una madre biologica e una adottiva, per una riflessione sul concetto di famiglia, accettazione e perdono, in un film realizzato con eleganza e rigore formale.

Scelto dal Giappone come proprio candidato all'Oscar per il miglior film in lingua straniera, True Mothers è un dramma familiare che si svolge in epoca contemporanea: una coppia di coniugi, i Kurihara, provano a lungo ad avere un figlio, senza successo, affidandosi a cure ed esami che non danno mai l'esito sperato; un giorno, dopo aver sentito parlare in tv di un'associazione che mette in contatto aspiranti genitori e donne incinte impossibilitate a crescere i propri bambini, decidono di tentare la strada dell'adozione, ed è così che diventano genitori del piccolo Asato. Qualche anno dopo, però, mentre il bimbo frequenta l'asilo, i Kurihara vengono contattati da una ragazza che dice di essere la madre biologica di Asato, e di volere indietro il suo bambino.

Questo è l'inizio del film, che si ispira a un romanzo della scrittrice Mizuki Tsujimura, ed è diretto dalla regista giapponese Naomi Kawase (Le ricette della signora Toku) ed è, come si evince già dal titolo, una storia che, partendo dal tema dell'adozione, esplora i diversi modi di essere madre, dai legami biologici a quelli che si vengono a creare per scelta, e dunque il rapporto tra genitori e figli e il concetto di famiglia, qualsiasi forma possa assumere.

La trama presenta un montaggio alternato per cui la narrazione, che inizia nel presente, viene intervallata dai flashback che fanno scoprire dettagli in più sulle vite dei personaggi principali, motivando così alcune delle loro scelte: un espediente che mantiene efficacemente un alone di suspense e di mistero sul percorso dei protagonisti, finché lo spettatore non ha modo di unire tutti i tasselli e ricomporre la vicenda nella sua interezza; se la prima parte, infatti, si concentra principalmente sulla coppia di coniugi (privilegiando comunque il punto di vista femminile), successivamente la storia approfondisce il ruolo di Hikari, la madre naturale del piccolo.

È un film che, nei suoi 140 minuti di durata, si prende il suo tempo nel racconto, con un ritmo lento che può forse scoraggiare chi si aspetti una narrazione più concisa; di certo, comunque, la regista realizza un'opera visivamente elegante ed equilibrata, che mantiene sempre un certo rigore stilistico: alle immagini più urbane, a partire dall'appartamento dei protagonisti, si alternano inquadrature che mettono in risalto la natura, in particolare l'acqua da cui l'isola è circondata, così come i raggi di luce naturale e abbagliante che in più di una scena lambisce e illumina personaggi e ambienti. 

True Mothers è quindi un esempio di cinema al femminile che ruota attorno  all'idea di maternità, che sia cercata, negata, inseguita, surrogata, quel desiderio di protezione e accudimento che può assumere diverse forme, andando a toccare anche l'aspetto sociale ed economico, il benessere e la sicurezza materiale in contrasto alla precarietà e alla fragilità sia pratica che affettiva. 

La storia mette in risalto il lato umano ed emotivo della vicenda, che vediamo espresso principalmente dai volti e dai corpi delle due interpreti femminili (Hiromi Nagasaku e Aju Makita), affrontando argomenti non nuovi ma eternamente validi e attuali, e andando così a toccare così corde universalmente comprensibili. 

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