Transcendence, la recensione
Wally Pfister debutta dietro la macchina da presa con un buon thriller che ai ritmi lenti controbilancia una fotografia e una resa tecnica d'alto livello, che riescono a ricreare l'atmosfera glaciale di un mondo dove l'Intelligenza Artificiale sembra pronta a soppiantare quella umana.
di Erika Pomella / 21.04.2014 Voto: 7/10
Ai più il nome di Wally Pfister è noto soprattutto come quello del direttore della fotografia del regista Christopher Nolan. E' infatti proprio grazie ad una pellicola di quest'ultimo che Pfister ha potuto portare a casa un Oscar per il lavoro fatto, nel 2009, con Inception. Ora, però, questo grandissimo artista delle luci (e delle ombre) ha voluto fare il salto qualitativo e mettersi alla prova nei panni di regista. Transcendence è infatti il debutto di Pfister, che sceglie una storia quasi fantascientifica che però apre lo scenario a molteplici domande piuttosto attuali.
Will Caster (Johnny Depp) è uno scienziato alle prese con alcune innovazioni tecnologiche che, se portate avanti con successo, potrebbero cambiare non solo il mondo quale noi lo conosciamo, ma anche il nostro modo di rapportarsi ad esso. L'uomo, infatti, sta sviluppando una sorta di intelligenza artificiale collettiva. In altre parole, lo scienziato vorrebbe far sì che il biologico e il tecnologico trovassero un terreno per comunicare e, in via definitiva, intrecciarsi. Will, oltretutto, sta lavorando anche a quella che viene definita PINN (acronimo che sta per Physically Independent Neural Network), una macchina capace di provare "emozioni" che può ospitare al suo interno una non meglio definita coscienza/anima. Questi suoi studi, però, portano Will a diventare il bersaglio di un gruppo di terroristi anti-tecnologia che si autodefiniscono RIFT (altro acronimo per Revolutionary Independence From Technology). Così Will, che si trova affacciato sul baratro della morte e dall'annientamento, decide di affidare la propria coscienza/conoscenza a PINN, in modo da continuare a lavorare e stare accanto a sua moglie (Rebecca Hall) e al suo migliore amico (Paul Bettany), entrambi colleghi dello scienziato.
In ambito filosofico, il termine trascendenza – a cui fa riferimento il titolo della pellicola – indica una condizione che presuppone un "al di là", un oltre, un qualcosa insomma che si posiziona in una dimensione diversa rispetto a quella comunemente conosciuta. Una dimensione – e per prolungamento una condizione – per la quale ci si trova al di fuori dell'esperienza umana. Basterebbe forse questa sommaria descrizione per cogliere il nocciolo centrale intorno a cui ruota la trama e la riflessione di Transcendence. Inserendosi in un filone sempre più attuale, che si interroga sulle conseguenze di un attacco sempre più morboso alla tecnologia, Wally Pfister dirige un thriller che è tale quasi solo concettualmente. Il film, infatti risente di ritmi un po' troppo blandi per permettere allo spettatore di entrare veramente nell'azione, perdendosi in sentimenti di ansia o suspance. Ereditando riflessioni che ultimamente abbiamo vista sia nel citatissimo Her di Spike Jonze, sia – e forse in maniera più profonda – nell'episodio Be Right Back della bellissima serie britannica Black Mirror, Transcendence riesce a comunicare col pubblico attraverso i dialoghi tra i personaggi e le loro interazioni. Il personaggio di Will, ad esempio, oltre ad aprire tutta la disquisizione sull'importanza o meno della tecnologia, permette allo spettatore anche di riflettere sulla possibilità ( o meno) di amare qualcuno ridotto a semplice macchina.
Ma dove il film convince di più è senza dubbio nel reparto tecnico e visivo. Le lacune di una sceneggiatura coraggiosa ma zoppicante vengono colmate dalla capacità di Pfister di creare un ambiente quasi sempre freddo e asettico. Le luci glaciali rimandano alla perfezione l'immagine di un mondo ridotto allo specchio di se stesso, messo quasi a tacere dalla continua avanzata della tecnologia a spese di un'umanità che, nonostante il moltiplicarsi degli strumenti e delle possibilità, sta finendo col perdere se stessa e la consapevolezza della propria fisicità nel mondo. Già solo attraverso l'uso sapiente di luci e toni grigi il regista ci parla della sua prospettiva, dei suoi pensieri e di una sua possibile posizione riguardo al dibattito che si sta aprendo intorno a noi, in un mondo dove – ad esempio – i social network hanno preso una fetta ampia delle nostre esistenze.