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Ti presento i suoceri, recensione della commedia romantica con un cast di stelle

Susan Sarandon, Diane Keaton, Richard Gere, William H. Macy, Emma Roberts e Luke Bracey sono i protagonisti di una commedia degli equivoci di stampo teatrale, che fra romanticismo e malinconia non riesce a lasciare il segno.

Arriverà sui nostri schermi direttamente in home video (e ai primi di luglio su Sky e NOW) il film Ti presento i suoceri, traduzione italiana dell’originale Maybe I do: Michelle (Emma Roberts) e Allen (Luke Bracey) sono una coppia di trentenni, fidanzati da qualche tempo e apparentemente felici; lei però ha cominciato a pensare al matrimonio, e alla possibilità concreta di trascorrere insieme il resto delle loro vite, mentre lui esita a compiere questo passo. Così Michelle decide di dargli un ultimatum, ed entrambi cercano rifugio, conforto e forse anche qualche buon consiglio dai rispettivi genitori. Il giorno dopo, nel tentativo di risolvere la situazione, si decide di organizzare una cena di famiglia a casa dei genitori di Michelle, i quali così potranno finalmente incontrare i genitori di Allen, che fino a quel momento non hanno mai visto; in realtà, quando le due famiglie si ritrovano per la prima volta insieme al completo, si scopre che gli adulti si sono già conosciuti, e forse in circostanze non esattamente ideali.
È così che le tre situazioni presentate in apertura del film (un matrimonio con temuto lancio del bouquet; l’incontro di due persone sole e un po’ tristi in un cinema d’essai; un rendez-vous clandestino in una stanza d’albergo) trovano il loro punto d’incontro, mentre le loro implicazioni si snodano per il resto della storia.

Una commedia degli equivoci dal palcoscenico allo schermo

Ti presento i suoceri è l’esordio alla regia di Michael Jacobs, che ha alle spalle una lunga carriera principalmente come produttore e sceneggiatore (tra le sue opere, il film Quiz show di Robert Redford, le serie tv I miei due papà, Girl meets world, Crescere che fatica) e che ha tratto questo film dalla sua pièce teatrale Cheaters, che scrisse da giovanissimo negli anni ’70.
Il risultato che si vede sullo schermo è quello di una pellicola curiosa, che parte come una frizzante e ironica commedia degli equivoci, invece poi evolve in una verbosa, e a tratti cupa, riflessione sull’amore, la coppia, il matrimonio. Il film, infatti, affronta temi e interrogativi eternamente attuali, come la ricerca della persona giusta (e i criteri su cui basarsi nella scelta), la validità o meno di un’istituzione come quella del matrimonio, la compatibilità fra due persone e, al contrario, le differenze intollerabili, da cui la domanda se un sentimento sia destinato a durare nel tempo o ad affievolirsi inevitabilmente e, altro elemento determinante, l’importanza dei figli nel calcolare il valore e la riuscita di un’unione. La struttura della storia offre anche l’occasione di un confronto generazionale, con gli adulti chiamati, sulla base della propria esperienza, a formulare bilanci e giudizi su quelle stesse decisioni che i più giovani si apprestano a compiere, cercando di evitare loro futuri errori o fallimenti.
Così, dopo un inizio brillante e promettente, il film invece si sgonfia, cercando di strappare qualche risata ma imboccando un tono per lo più malinconico, e anche alcuni dialoghi arguti e veritieri si perdono però in mezzo a uno schema ripetitivo, che finisce anche per sommergere i personaggi e soprattutto per sottrarre simpatia e comprensione nei loro confronti.

Il neoregista ha potuto contare su un cast prestigioso, ma Roberts e Bracey funzionavano meglio in Holidate (l’altro film che avevano già girato in coppia), mentre per quanto riguarda gli adulti Diane Keaton ripropone qui il suo consueto personaggio di donna un po’ nevrotica ed eccentrica, Susan Sarandon si diverte a vestire i panni della femme fatale (anche se con un immotivato astio verso tutto e tutti), William H. Macy riveste un ruolo che gli è congeniale, l’uomo un po’ triste e ingenuo, e infine troviamo un Richard Gere particolarmente incolore.
Anche la tipica New York che, specialmente nella stagione autunnale, abbiamo visto negli anni fare da sfondo a tante storie romantiche, qui si intravede appena: il film quindi mantiene il suo impianto teatrale, dato che si svolge per lo più in interni, ma che forse sul palcoscenico funzionava meglio, con una regia poco dinamica e piuttosto anonima sul piano tecnico e formale; così il risultato finale è quello di un film piuttosto fiacco come commedia, e che riesce solo in piccola parte a suscitare riflessioni ma alla fine sembra poco convinto sul messaggio da trasmettere.

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