![The Walk [credit: Ufficio Stampa Rai]](https://www.movietele.it/wp-content/uploads/2016/02/the-walk-joseph-gordon-levitt-3ac.jpg)
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The Walk, la recensione
'The Walk' è un film di cuore, un film in cui lo spettatore rimane avvinto ad un racconto che odora di favola e che colpisce proprio perchè appartiene alla sfera della realtà; a quel mondo dell'impossibile solo dove i più impavidi arrivano.
di Erika Pomella / 25.10.2015 Voto: 9/10
"Lui è un arrampicatore di stelle e la notte cammina lassù"; queste sono le parole che Giò Di Tonno cantava nel suo pezzo Il cielo e la terra; parole che sembrano quanto meno adatte anche a descrivere Philippe Petit, il funambolo autodidatta che ha cambiato per sempre le nozioni di coraggio e di pazzia, e che si è stagliato come una stella brillante nella cultura del Novecento. Un artista che, oggi, ha ispirato Robert Zemeckis per il suo ultimissimo film, The Walk, presentato alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma.
Nell'anno del trentesimo anniversario del suo film più conosciuto – Ritorno al Futuro – Zemeckis torna al cinema per raccontare la più grande impresa del funambolo francese Philippe Petit che, nel 1974, decise di camminare su un filo, senza nessuna protezione, sospeso nel vuoto a circa 417 metri, tra le sommità delle due Torri Gemelle, le Twin Towers rase al suolo nel vigliacco attentato terroristico dell'11 Settembre 2001. Il film ripercorre la nascita di Philippe Petit, interpretato da un ispiratissimo Joseph Gordon Levitt, come funambolo, le sue aspirazioni e i suoi sogni: la prima parte del film, tra un tono scanzonato, avventure e fallimenti ridicoli, è tutta concentrata sulla costruzione del personaggio di Petit, un parigino che sognava l'America. La seconda parte della pellicola, invece, è dedicata tutta alla realizzazione dell'impresa che avrebbe cambiato per sempre non solo la vita del funambolo, ma anche il rapporto degli americani con quelle due immensi torri a Lower Manhattan con cui sembravano avere difficoltà a rapportarsi.
Robert Zemeckis dirige un film di cuore, un film in cui lo spettatore rimane avvinto ad un racconto che odora di favola e che colpisce proprio perché appartiene alla sfera della realtà; a quel mondo dell'impossibile solo dove i più impavidi arrivano. Il regista ci racconta una storia come se ci stesse raccontando la più bella storia della buonanotte, con un eroe che non abbandona mai i propri sogni e che si avventura là dove pochi si arrischiano. Joseph Gordon Levitt, con lenti a contatto colorate e un taglio di capelli che quasi lo sfigura, dà volto, anima e cuore al Philippe Petit di celluloide, sfoggiando una pronuncia francese che sembra uscita direttamente dal primo arrondissemnt e che si sposa con un inglese dal forte accento transalpino. Lo spettatore, allora, non può fare altro che arrendersi, lasciarsi scivolare in un'impresa monumentale, che travalica l'umano e che ha del divino. Philippe Petit, infatti, sembra voler mettere in scena la poesia di John Gillespie Magee che Mel Gibson recita in L'uomo senza volto:
I tenaci vincoli della terra
d'un colpo ho reciso
e ho danzato lieto nell'aria
sopra ali d'argento.
Il cielo ho scalato,
di nuvole esplose
ho seguito il disegno impreciso
e ho fatto, contento,
cose che tu non puoi aver sognato:
tuffi, planate, giravolte,
ma lassù tutto è silenzio.
Ho spento i motori
e percorrendo spazi inviolati
di paradiso,
la mano ho messo fuori
e di Dio ho sfiorato il viso.
Philippe Petit è un angelo dall'armatura nera, un ballerino delle nuvole, un essere umano sospeso tra terra e cielo, danzatore di una dimensione che non esiste, non per i comuni mortali. E il regista accompagna questa traversata del nulla con una tenerezza e una raffinatezza in grado di toccare il cuore, non rinunciando mai ad una resa tecnica che rende tutto ancora più reale e, dunque, ancora più incredibile.
E' indubbio, però, che Philippe Petit non è l'unico protagonista di questa pellicola incredibile. Non si può non notare che Zemeckis abbia voluto mettere il cuore in un progetto che pone al proprio centro la città di New York, una città che mostra al mondo ancora le sue profonde cicatrici, ma che è riuscita a rialzarsi dopo un colpo mortale, affacciandosi al mondo con la fierezza di un'anima che si è piegata, ma che non si è mai spezzata. Fiera del suo aspetto e del suo dolore, New York serpeggia lungo tutto il film, come mondo utopico, come terra in cui si realizzano i desideri, come universo in continuo mutamento. In questo Zemeckis riesce ad inserire un toccante e lieve omaggio alle Torri Gemelle, come simbolo di un tempo che forse non c'è più, ma che non smette di irretire persone in tutto il mondo. Una città a cui Philippe Petit – e Robert Zemeckis con lui – si inginocchia, affascinato e riconoscente. Ed è un omaggio da far venire i brividi; un omaggio che passa attraverso la voce di Joseph Gordon Levitt che, nella divisa di Philippe Petit, sussurra un per sempre sullo sfondo delle Twin Towers baciate dalla luce di un tramonto che le porta in primo piano, assumendo le forme di quell'ignobile, indimenticabile e infausto numero 11. Capolavoro.