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Recensione The Stag – Se sopravvivo mi sposo

Un addio al celibato in salsa irlandese, con un affiatato gruppo di attori che regala più di una risata.

L'addio al celibato è una di quelle situazioni spesso e volentieri raccontate dal cinema, che si diverte spesso a esplorare le dinamiche che si vengono a creare in un gruppo di uomini a piede libero prima dell'imminente matrimonio di uno di essi. La categoria si arricchisce ora di una nuova variazione sul tema con The stag – se sopravvivo mi sposo, piccolo film irlandese che segna l'esordio nel lungometraggio del regista e scrittore John Butler, il quale firma anche la sceneggiatura assieme a Peter McDonald (interprete di The Machine nel film).

Il futuro sposo di The stag è Fionan (Hugh O'Conor), di professione scenografo teatrale, che sta per sposarsi con Ruth (Amy Huberman), la quale comincia a preoccuparsi che Fionan sia troppo interessato ad alcuni dettagli del matrimonio considerati tipicamente femminili, e decide di correre ai ripari con una soluzione ad alto tasso di "virilità": chiede al migliore amico di lui, Davin (Andrew Scott) di organizzare un addio al celibato con una scampagnata fra le colline irlandesi; dopo qualche resistenza iniziale, Fionan accetta: l'unico problema è che bisogna invitare anche il fratello di Ruth, noto come The Machine, un uomo completamente fuori di testa la cui presenza i ragazzi cercano in tutti i modi di evitare, ma che arriverà a sconvolgere i piani previsti per il weekend.

Le caratteristiche tipiche del filone "addio al celibato" sono tutte rispettate: dal personaggio irritante, imprevedibile e che trascina tutti gli altri nei guai, a una serie di imprevisti che coinvolgono pericolosi animali dei boschi come sostanze allucinanti, fino alla scoperta e alla confessione di segreti imbarazzanti. Lontano dalle più patinate notti da leoni tra Las Vegas e dintorni, le disavventure degli amici di The stag hanno come scenario i verdi paesaggi irlandesi, e non mancano gag a sfondo linguistico nonché riferimenti alle icone nazionali come gli U2.

Il cast punta su un gruppo affiatato di attori, poco noti in Italia, attivi principalmente sulla scena teatrale e televisiva irlandese e britannica; ai protagonisti si deve gran parte dello humour del film, che soffre in certi momenti di qualche lentezza di troppo e che sicuramente perde qualcosa nel doppiaggio italiano, ma diverte e intrattiene con leggerezza.

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