Debutta proprio oggi su Netflix la seconda stagione di 'The Punisher': il Punitore torna con una stagione che strizza l'occhio a Luc Besson, che non rinuncia all'ironia e che si concentra soprattutto sulla costruzione del personaggio interpretato da Jon Bernthal. Qui la recensione.
Ha lo sguardo fatto di pece, sorrisi che ritardano ad esplodere su un volto che sembra abbaiare al mondo la propria rabbia e delle cicatrici come memento dell'uomo che il destino gli ha ordinato di diventare. "Non sei così stanco di essere sempre arrabbiato?" Gli domanda Rachel nel secondo episodio e per un momento lo sguardo di Frank Castle vacilla, come se non sapesse più riconoscere dov'è la verità: perché Frank Castle è una creatura ibrida. E' un uomo tormentato e traumatizzato da ciò che gli è successo, un uomo che vorrebbe scalare le vette dell'inferno che la morte della sua famiglia gli ha costruito intorno. Ma è anche un uomo che non riesce – per sua stessa ammissione – a stare lontano dai guai, a non lasciarsi coinvolgere, come se nelle sue vene ribollisse il sangue di un guerriero plasmato con il desiderio di combattere come mantello e come scudo. Ed è questo Frank Castle che incontriamo nella seconda, attesissima stagione di The Punisher, che debutta proprio oggi sulla piattaforma Netflix.
Non sappiamo ancora quale sarà il destino che toccherà alla serie, soprattutto dopo che Netflix ha cancellato quasi tutti gli show di casa Marvel, lasciando solo The Punisher e Jessica Jones a tenere a galla lo stendardo di questo gruppo strano e disastrato di (anti)eroi. Ma se vivessimo in un mondo perfetto, un mondo in cui il successo di un prodotto dipendesse solo dalla qualità offerta al pubblico, allora avremo meno cancellazioni di show di grande potenza visuale e narrativa (Penny Dreadful, per citarne uno) e non ci sarebbe alcun rischio di veder sparire un prodotto cupo, sanguinolento e violento come The Punisher, che pure coi suoi difetti (troppe lungaggini, troppi personaggi che a volte strozzano il ritmo della narrazione) rientra in quella schiera di prodotti che riesce, grazie soprattutto alla precisione con cui vengono caratterizzati i suoi protagonisti, a spingere gli spettatori a fare una scorpacciata di episodi. E il personaggio di Frank Castle è di quelli da cui è difficile distogliere lo sguardo, di quelli che ti catturano anche quando ti rendi conto che ci sono cose davvero poco credibili. Come degli scontri fatti di muscoli e di cinghie avvolte intorno alle braccia, che seppur mostrano alcuni difetti in fase di coreografia, e sono alquanto inverosimili come realizzazione, galvanizzano lo spettatore che tifa per Frank.
La narrazione non è ancora iniziata, la trama è ancora un nodo da sciogliersi eppure nella prima manciata di secondi gli spettatori si trovano davanti con il volto del punitore già pieno di contusioni, gli occhi scuri a brillare in un lago di sangue rappreso. Un preludio, questo, che dice già molto sull'atmosfera della stagione. "Un colpo eccezionale. Vedendo il tipo, so già quale idea farmi," dice una dottoressa che si trova a confrontarsi con un uomo dalle nocche spaccate, che grugnisce il suo dolore e lo nasconde dietro una smorfia quasi pudica. E anche questa piccola scena ci dice molto su Frank Castle, su un uomo che tenta di vivere una vita normale e quanto più tranquilla (come vediamo nel primo, meraviglioso episodio), ma che suo malgrado finisce con le scarpe nel sangue e le mani a stringere armi di ogni taglia e potenza. Un uomo a metà, con i ricordi a ferirlo ancora come una lama e un nuovo obiettivo che sembra essere in grado di portargli redenzione e forse un po' di quella pace che, ancora, utopisticamente attende. Una raffigurazione, quella di Frank Castle, che ben si sposa con quella di Billy Russo, specie quello che appare nei primi episodi. Va da se che se non avete ancora concluso la visione della PRIMA stagione di The Punisher quanto segue potrebbe rappresentare uno spoiler. Avevamo lasciato il personaggio interpretato da Ben Barnes alle prese con un volto distrutto e una vita ormai priva di senso.
Nella seconda stagione di The Punisher lo troviamo nascosto dietro una maschera quanto mai inquietante, che non ha più ricordi per fargli capire che mostro è diventato. Se per Frank i ricordi sono un dolore continuo, per Billy sono qualcosa di spaventoso, qualcosa che popola sogni e incubi. Soldati e uomini distrutti dalle proprie azioni così come dalle loro scelte, Frank e Billy rappresentano i due volti – stanchi, distrutti, pieni di sangue – di una stessa medaglia. Come Castle aveva detto persino a Matt Murdock nella seconda stagione di Daredevil , è come se Frank fosse a solo una brutta giornata di distanza dal diventare come Billy Russo e viceversa.
Ma Billy Russo è solo uno degli ostacoli che Frank è costretto ad affrontare nel corso di questa stagione. La trama di The Punisher 2, infatti, ruota intorno al tentativo di Frank Castle – interpretato sempre da un incredibile Jon Bernthal che ha fatto di Frank la sua ombra e la sua seconda pelle – di proteggere la giovane e diffidente Rachel (Giorgia Whigham) da un misterioso quanto inquietante uomo di fede (Josh Stewart) che la insegue per prendere possesso di qualcosa che la ragazza ha e che mette continuamente a repentaglio la sua vita. Ed è soprattutto nel rapporto tra Frank e Rachel – più ancora che in quello d'antagonismo con i nemici, o persino degli scontri corpo a corpo – che si deve ricercare l'elemento più riuscito di questa seconda stagione, perché dà un impatto emotivo decisamente maggiore. Se con Karen Page Frank Castle aveva avuto l'occasione di dimostrare il brav'uomo dietro le vesti del Punitore, è con Micro (nella prima stagione) e con Rachel che dimostra che il suo cuore batte ancora e che ha un così disperato bisogno di sentirsi parte di una famiglia da avere il desiderio di costruirsela intorno. Famiglie di esclusi, orfani, persone ridotte alla paura costante: Frank Castle salva i reietti, pur essendo lui stesso un reietto. E nel rapporto con Rachel è difficile non riscontrare un omaggio più o meno chiaro a quello che Luc Besson aveva fatto nel film Leon, quando aveva raccontato la storia d'amicizia tra Jean Reno e una giovanissima Natalie Portman.
Con una nota ironica molto più profonda rispetto a tutti gli altri show in cui abbiamo avuto occasione di fronteggiare il personaggio di Frank, The Punisher 2 si pone su un livello superiore rispetto alla stagione che lo ha preceduto: c'è una maggiore uniformità e coerenza narrativa e le motivazioni di tutti i personaggi sembrano molto più verosimili e, oltretutto, condivisibili. Non è una serie perfetta, non è un capolavoro, ma nonostante questo The Punisher cattura lo sguardo, veicola un'empatia continua e, soprattutto, intrattiene senza sforzo per tutti i tredici episodi che lo compongono.
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