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The Mauritanian, recensione del film con Jodie Foster ispirato a una storia vera

Un dramma carcerario tratto da una storia realmente accaduta, che ripercorre la lotta al terrorismo dopo l'11 settembre, mescolando denuncia politica all'aspetto umano di un prigioniero.

The Mauritanian arriva adesso da noi in homevideo dopo un discreto successo ottenuto in patria nella stagione dei premi, compresa la vittoria di un Golden Globe per Jodie Foster.

Il film ricostruisce la vera storia di Mohamedou Ould Slahi (Tahar Rahim), arrestato dopo gli attentati dell'11 Settembre perché sospettato di essere affiliato a Bin Laden e ai suoi seguaci, e successivamente imprigionato nel carcere di Guantánamo Bay. Un giorno il suo caso viene portato all'attenzione di Nancy Hollander (Jodie Foster), avvocato che decide di assumerne la difesa, con la collaborazione della più giovane collega Teri Duncan (Shailene Woodley), lottando perché l'uomo riesca ad avere quantomeno un giusto processo.

The Mauritanian è diretto da Kevin MacDonald, documentarista premiato con l'Oscar ma anche regista di drammi e thriller di successo (L'ultimo re di Scozia, State of Play) e si basa sul libro biografico 12 anni a Guantánamo, scritto dallo stesso Slahi.

Il film non esprime volutamente un giudizio sull'eventuale colpevolezza o innocenza dell'uomo, per concentrarsi invece sul fatto che sia tenuto prigioniero senza una vera e propria accusa, da cui l'impegno affinché una persona si possa effettivamente giudicare in una maniera adeguata alle sue azioni, seppure all'interno di una vicenda che va a toccare una ferita emotivamente aperta per gli americani, l'attacco alle Torri Gemelle: la Foster interpreta il ruolo a lei congeniale della donna tenace e determinata, avvocato integerrimo e fedele ai propri princìpi che si trova, per questo, a scontrarsi con la collega meno navigata in cui invece si fanno strada dubbi e scrupoli morali; a questo proposito un altro personaggio importante nella storia è quello del colonnello Stuart Couch (Benedict Cumberbatch), il quale parte mosso da un legame personale con il caso, oltre alla fedeltà alla patria, ma lungo la strada si troverà a dover mettere in discussione alcune delle sue certezze.  

È così anche uno di quei film che, come già accadeva a Mark Ruffalo in Cattive acque e Adam Driver in The Report, per citare due esempi tra i più recenti, ci mostra come la verità, anche se parzialmente omessa o corretta, si trovi nascosta in un mucchio di scatoloni, in pile di fascicoli da leggere, interpretare, sviscerare, per chi abbia la pazienza, e la testardaggine, di arrivare al fondo delle cose. 

Non solo legal drama dunque, perché la trama ci mostra in parallelo la realtà del carcere raccontata attraverso lo sguardo dello stesso Mohamedou, dai piccoli dettagli e rituali quotidiani, agli interrogatori, fino alle torture subìte, dando risalto all'aspetto più umano e personale della vicenda, puntando sull'interpretazione di Tahar Rahim, l'attore franco-algerino consacrato da Il profeta.

The Mauritanian è quindi un film che mette in evidenza falle e limiti di un sistema legale e giudiziario, coniugando la denuncia socio-politica alla riflessione su pregiudizi e valori, in maniera in parte programmatica e con un filo di inevitabile retorica; come spesso accade nei film tratti da una storia vera, poi, nel finale vediamo le immagini dei veri protagonisti della vicenda, a dare maggiore tridimensionalità ed empatia alla storia appena narrata.

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