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The Lost King, recensione del film di Stephen Frears

Il regista britannico torna a raccontare una storia vera, quella della ricerca di una donna che intraprese un'appassionata battaglia per riportare alla luce i resti di Re Riccardo III, interpretata dalla candidata all'Oscar Sally Hawkins.

I film tratti da storie realmente accadute continuano a essere fonte di ispirazione e di interesse per il cinema, specialmente quando offrono l’occasione di mescolare al loro interno passato e presente, verità e finzione, storie di interesse umano e dall’alta carica emotiva e la Storia fatta anche di dati e numeri.
Uno dei maestri in questo è Stephen Frears, il regista inglese di tanti film di successo, solitamente drammi in costume, da Le relazioni pericolose e Mary Reilly, a The Queen, Philomena, fino all’ultimo Vittoria e Abdul, prima di una pausa dal grande schermo in cui si è dedicato a progetti televisivi, come la miniserie A very English scandal.
The Lost King, il suo ultimo lavoro che, dopo la presentazione alla Festa del cinema di Roma, arriva da noi in anteprima home video, ricostituisce in parte lo stesso team creativo dietro a Philomena, poiché è sceneggiato dagli stessi autori, Jeff Pope e Steve Coogan, che qui interpreta anche il ruolo di John, ex marito della protagonista.

Una vicenda reale che unisce Storia, teatro, letteratura e curiosità

La trama si ispira quindi a una di quelle vicende reali che però sembrano avere quasi dell’incredibile: Philippa Langley (Sally Hawkins) è una donna di mezza età che vive a Edimburgo, ha due figli, un ex marito e soffre di encefalomielite mialgica, nota anche come sindrome da fatica cronica, una condizione che l’ha fatta spesso restare indietro sul lavoro, impedendole di fare carriera e ottenere promozioni al posto di altre colleghe, sebbene più giovani e con meno esperienza di lei.
Una sera, dopo aver accompagnato uno dei suoi figli ad assistere a una rappresentazione teatrale del Riccardo III di William Shakespeare, Philippa si ritrova affascinata e incuriosita dalla figura del sovrano inglese, accusato di essere un usurpatore e per questo non un legittimo Re, di essere un infanticida, e preso di mira anche per le sue caratteristiche fisiche, come una presunta gobba sulla schiena; sentendo un’inaspettata affinità con il giovane Riccardo, la donna decide così di approfondire lo studio della sua vita ma, quando esprime il desiderio di visitare la sua tomba, scopre di non poterlo fare, perché nessuno sa ufficialmente dove si trovino i resti dell’uomo. Incoraggiata dallo stesso Riccardo III, che comincia a palesarsi al suo fianco (con il volto di Harry Lloyd) in una serie di apparizioni (naturalmente visibili solo da lei), e nonostante lo scetticismo di familiari, amici e colleghi, la protagonista decide di intraprendere un proprio percorso di ricerca per trovare le spoglie del Re e, così spera, dargli finalmente gli onori e il riscatto che merita.
È stata la stessa Philippa Langley, assieme a Michael Jones, a raccontare la sua storia in un libro dal titolo The King’s Grave: The Search for Richard III (2013), che ripercorre quella che, ancora oggi, è una vicenda in parte controversa, dato che ci sono state accuse e contro-accuse, (acuite anche dall’uscita del film) tra la donna, storica amatoriale, e l’università di Leicester, su chi dovesse effettivamente assumersi il maggior merito nella riuscita dell’impresa.

La storia di una donna alla ricerca del proprio valore e riscatto

Certamente, come capita nella maggior parte dei biopic, ci sono degli aspetti romanzati o semplificati nella trasposizione della vicenda, che vuole chiaramente puntare su un aspetto spesso considerato intrigante, visto magari come fonte di ispirazione e motivazione, e in grado di fare presa sul pubblico: un personaggio protagonista, per di più donna, che combatte contro il sistema, chiaramente vista come l’underdog della situazione, svantaggiata in partenza ma che, dalla sua, mette in gioco passione, cura e un forte spirito di onestà e correttezza morale, soprattutto nell’identificare, nella figura del sovrano perduto, un altro outsider come sé. Attorno a lei troviamo personaggi che sono un campionario di varia umanità, dall’affetto profondo e unico che la lega all’ex marito John, il quale oscilla tra il sostegno e lo scetticismo, alle figure di impiegati e burocrati talvolta ottusi e cinici, pronti a inorridire di fronte al ricorso alle emozioni femminili, talvolta invece in apparenza burberi ma comprensivi, tra i quali spicca Mark Addy (attore di Full monty e Il trono di spade, tra le altre cose).
Il film possiede quello stile tipicamente britannico che ci si aspetta, nello humour sottile, pacato anche se cinico, che fa la sua comparsa a intermittenza in una storia che ha per lo più un tono malinconico, e che ci mette un pochino a carburare, specialmente quindi nella prima parte. Sally Hawkins (candidata all’Oscar per Blue Jasmine e La forma dell’acqua ma anche volto di alcuni film di Mike Leigh) qui incarna quello che è naturalmente il centro narrativo ed emotivo della storia, ma che è anche costantemente a rischio di scivolare quasi nel macchiettistico, tendendo ad enfatizzarne fin troppo debolezze e incertezze.
Nonostante gli ovvi riferimenti alla pièce da cui parte tutta la ricerca, il film non si addentra mai davvero in un’analisi dell’opera shakespeariana, né nella storia completa delle famiglie reali inglesi, anche se si fa cenno alla propaganda dei Tudor, ma il contesto socio-politico e culturale rimane quindi sempre un po’ in secondo piano.
The Lost King è dunque un film adatto agli amanti delle vicende di riscatto che coniugano la Storia ai buoni sentimenti, anche un pizzico ruffiani, con una narrazione che forse ha meno risonanza di quanto avrebbe voluto, ma mette in scena l’elogio delle persone comuni, tenaci, corrette e dalla fame di conoscenza.

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