The Kissing Booth 2 – Recensione del film su Netflix
'The Kissing Booth 2' avrebbe potuto essere un secondo film più che dignitoso di una divertente commedia teen adolescenziale: ma il film fallisce da quasi ogni punto di vista
di Erika Pomella / 27.07.2020 Voto: 5/10
È stato rilasciato su Netflix lo scorso 24 Luglio The Kissing Booth 2, la pellicola che seguiva il primo capitolo dedicato allo "stand dei baci" e che raccontava la storia d'amore tra Elle (Joey King) e Noah (Jacob Elordie), fratello maggiore del migliore amico della ragazza e per questo componente della sfera dei "ragazzi impossibili". Dopo aver trovato il loro lieto fine nel primo, carinissimo e freschissimo film, Elle e Noah devono affrontare in The Kissing Booth 2 un nuovo step della loro relazione: la distanza. Il ragazzo, infatti, è ad Harvard e sembra impegnato a costruirsi una nuova vita e a stringere nuove amicizie, come quella con Chloe (Maisie Richardson Seller), per colpa della quale Elle comincia ad avvertire il morso avvelenato della gelosia.
La ragazza, intanto, è alle prese con l'ultimo anno e con la scelta del college da seguire: dopo aver sognato per tutta la vita di andare all'università di Berkley, ora Elle comincia a immaginare la sua vita ad Harvard,vicino a Noah. Ma Harvard, come università privata, costa molto: per questo la ragazza decide di iscriversi a una sorta di gara di ballo, nella speranza di ottenere il primo premio e dunque i soldi necessari per continuare a pensare al suo futuro. Nella sfida viene aiutata dal nuovo arrivato, Marco (Taylor Zakhar Perez). Come se non bastasse la nostalgia di Noah la porta ad essere spesso il "terzo incomodo" nella relazione tra il suo migliore amico Lee (Joel Courtney) e la sua fidanzata Rachel (Meganne Young).
Dopo la buona riuscita di The Kissing Booth, era pressoché logico aspettarsi un secondo capitolo che proseguisse le avventure di Elle e la sua relazione con Noah, di cui era innamorata sin da quando era bambina. Peccato che questo secondo capitolo, tratto sempre da un romanzo di Beth Reekles, non sia stato minimamente in grado di fronteggiare le aspettative del pubblico e anche quella sorta di leggerezza che aveva caratterizzato il primo capitolo, che era un vero e proprio gioiellino. Innanzitutto la durata della pellicola diretta da Vince Marcello è davvero eccessiva per costringere lo spettatore a guardare l'involversi delle coppie della serie, di lasciarsi andare a cliché non poi così giustificati, solo per far avanzare la storia.
Da una parte si sente moltissimo la mancanza del personaggio di Noah, che viene messo al limitare del quadro, come se non fosse importante, come se non fosse stato anche lui il cuore del primo film. Inoltre il suo personaggio viene in qualche modo trasformato, portato all'eccesso dei suoi difetti, come se dovesse diventare il cattivo della storia, l'antagonista alla felicità della protagonista. Tutto si basa sul sotterfugio di non parlare: Noah non si rende conto dei suoi errori e Elle, invece di parlargliene, si diverte a giocare alla martire dal cuore spezzato, l'eroina melodrammatica che non affronta di petto le situazioni e si lascia trascinare nelle scelte, come se non fosse altro che l'ennesimo esempio di Mary Sue, reso ancora più grave dal chiaro intento di apparire simpatica e spigliata ad ogni costo: il risultato, però, non è naturale come in The Kissing Booth, ma mostra tutte le crepe di un artificio in cui sembra non credere nemmeno la stessa interprete.
Il personaggio di Lee, ancora una volta, ne esce a pezzi. Se già nel primo film appariva come un personaggio fondamentalmente egoista che non sapeva vedere al di là di quello che lui voleva, almeno in quell'occasione aveva una "giustificazione" nelle menzogne che gli venivano raccontato. Qui, invece, appare solo come una brutta persona: ancora una volta non è altro che un egoista che non si cura degli altri e che pensa solo a quello che vuole lui. Quando Rachel gli comunica come si sente, Lee ascolta lo sfogo, ma alla fine fa quello che vuole, ferendo la sua compagna e rischiando di rovinare un'amicizia solo per la sua codardia. Lee è quel classico tipo di amico che pronuncia grandi dichiarazioni di affetto, con parole affettate e una presenza quasi asfissiante, ma che al netto tratta le persone come fossero solo delle occasioni da prendere al supermercato, oggetti da sfruttare per ottenere quello che vuole. È un personaggio chiuso nei suoi schemi mentali, che non accetta il cambiamento e che comincia a fare i capricci se le persone non seguono il percorso che lui ha stabilito. Sebbene il ciclo di The Kissing Booth sia incentrato sull'amore, dovrebbe dare un esempio di bella amicizia. Lee e Elle dovrebbero essere un po' l'emblema della bella amicizia, di quella vera e leale: ma di fatto questa missione è completamente fallita.
Purtroppo, però, nemmeno la storia d'amore funziona: l'aggiunta del terzo personaggio fatto entrare in scena per portare un po' di dramma e di sconvolgimenti nella coppia principale, in realtà, non serve a molto perché la coppia principale, di fatto,quasi non esiste. Ed è chiaro che l'intento del film finisce per essere quasi quello di far abituare il pubblico al personaggio di Marco, come a volerlo prepararci a trovarlo anche nel terzo, inevitabile, inutile (e a quanto pare già girato) capitolo.