

The Kill Team, la recensione
'The Kill Team' è un film che ci riporta nella sabbia rovente della guerra, dove una giovane recluta deve affrontare i propri dubbi morali all'arrivo di un sergente che ha metodologie di dubbia giustizia nell'affrontare l'Afghanistan.
di Erika Pomella / 12.10.2019 Voto: 7/10
The Kill Team è la pellicola che segna il debutto in ambito fiction del regista Dan Krauss. Il metteur en scene, infatti, si è fatto un nome nell'ambito della settima arte come documentarista. Candidato anche ai premi Oscar per il miglior corto documentario, Dan Krauss per il suo debutto nella narrativa ha scelto comunque di non allontanarsi troppo da quella che è la sua comfort zone e di portare sul grande schermo un film che è tratto da una storia vera e da eventi realmente accaduti.
The Kill Team è la storia di Andrew Briggman (Nat Wolff), una recluta dell'esercito degli Stati Uniti che dopo aver aspettato e agognato il suo momento per entrare nelle forze armate della sua nazione, si trova in Afghanistan a combattere una guerra dove i suoi compagni saltano in aria mettendo i piedi su mine anti-uomo. Una situazione che lo spinge a provare un sentimento di completo odio per gli abitanti del luogo. Il suo punto di vista, però, cambia quando alla base arriva il sergente Deeks (Alexander Skarsgard) , un uomo tutto d'un pezzo che ben presto trasforma la squadra in una banda di assassini che non si fa scrupoli a torturare o uccidere civili nel tentativo di ottenere informazioni valide al raggiungimento dello scopo bellico. Ben presto, allora, Briggman si troverà davanti ad un bivio morale: dire la verità sulle atrocità di cui è testimone e rischiare la vita, oppure continuare ad annegare nell'omertà per non correre il rischio di essere preso di mira dai suoi compagni e dal suo inquietante sergente.
The Kill Team è una pellicola che ci trascina di nuovo negli orrori della guerra, in quegli angoli di mondo dove la giustizia e il senso morale devono sottostare alle specifiche condizioni di vita di questi soldati che sono allontanati da tutto e da tutti, che si trovano in un luogo che sembra essere diviso dal mondo stesso e nel quale devono di nuovo imparare a vivere e, soprattutto, convivere con se stessi. Il regista Dan Krauss si mostra senz'altro abile nel raccontare questa difficoltà dirigendo un film che non si adagia mai su facili sentimentalismi o su ricatti emotivi che potessero spingere lo spettatore a scegliere una fazione. Andrew Briggman è un personaggio nel quale è facile immedesimarsi per tutti i dubbi che lo attanagliavano, per la paranoia che lo segue e per quel sentimento di essere davvero solo a combattere contro i Golia che la guerra ha forgiato e, in qualche modo, giustificato.
Ed è proprio nella "freddezza" con cui vengono trattati i crimini di guerra e le minacce che subisce il protagonista che si deve ricercare la parte più riuscita del film. Una qualità che probabilmente deriva dall'esperienza del regista in ambito documentarista: Dan Krauss non si limita a raccontare una storia basata su eventi reali, ma spinge per farci sentire quanto reali siano davvero, quanto abbiano rischiato di cambiare il corso della vita di persone all'interno di una guerra che è piena di crepe e angoli bui. Questo fa sì che tutti i personaggi abbiano un doppio lato, una doppia anima piena di sfumature che non li rendono mai completamente buono, né mai del tutto cattivi. Si arriva ad odiare Andrew per i dubbi che prova, allo stesso modo in cui ci si trova a sorridere quando si vede Deeks parlare con il figlio. Dan Krauss mette in scena un teatro dell'orrore scegliendo però di rimanere fortemente ancorato alla vita e alla realtà, senza troppi fronzoli. E il risultato è una cavalcavata inquietante verso la risoluzione, attraverso la sempre maggiore presa di consapevolezza del nostro protagonista.