Il punto di forza della pellicola sta nel prendere l'ambientazione da film di guerra, di norma extra-ordinaria per il pubblico, e trasformarla in quotidianità, routine, prassi, un luogo in cui poter (e dover) vivere.
L'occupazione americana in Afghanistan è stata e continua ad essere ben presente nella memoria collettiva, e per questo continua a fornire materiale di spunto per opere cinematografiche. La ferita aperta generata da questo conflitto non smette di suscitare l'interesse dell'opinione pubblica. In questa cornice si inserisce "The Kill Team", diretto da Dan Krauss, che racconta la vicenda realmente accaduta di una giovane recluta militare, di stanza a Kabul, costretta a scontrarsi con la brutale realtà dei fatti: l'assassinio, da parte del suo plotone, di civili innocenti, con l'obiettivo di giustificare l'occupazione in atto.
Nat Wolff interpreta Andrew Briggman, soldato appena stanziato a Kabul con lo scopo di rintracciare e distruggere eventuali cellule terroristiche. La sua quotidianità consiste nel recarsi di villaggio in villaggio per perquisire gli abitanti e setacciare le case in cerca di possibili minacce. Gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo, ma Andrew sembra abituarsi presto a quella che è la sua nuova normalità, fiero di servire il suo paese. Le cose per lui cambiano all'arrivo del sergente Deeks (Alexander Skarsgård) che, appena insediatosi al comando del plotone, instaura un regime di forte competitività tra i soldati, dove il valore viene misurato nella capacità di eseguire qualunque ordine senza esitazione.
Tutta la tensione del film regge sull'interiorità del soldato Briggman, nel conflitto interiore che la situazione genera in lui. Il punto di forza della pellicola è tutto qui, nel prendere l'ambientazione da film di guerra, di norma extra-ordinaria per il pubblico, e trasformarla in quotidianità, routine, prassi, un luogo in cui poter (e dover) vivere. Salvo poi ribaltare il tutto e trasformare quello che era diventato, contro ogni previsione, un rifugio sicuro in luogo ostile, dove fidarsi di qualcuno è impossibile. Non ci sono scene d'azione in The Kill Team, ma un'escalation di situazioni limite, di occhiate sospette e coincidenze macabre. Nat Wolff interpreta un'anima dilaniata tra ciò che sa essere sbagliato e il dovere che la vita da militare gli impone.
Vera star del film è però sicuramente Alexander Skarsgård: il suo sergente Deeks è una figura lontana dall'eccentrico e oscuro colonnello Kurtz di Marlon Brandon in Apocalypse Now, o dal mellifluo colonnello Jessep interpretato da Jack Nicholson in Codice d'onore. Al contrario Deeks è freddo, calcolatore e soprattutto risulta essere un uomo tremendamente comune. Lo vediamo diverse volte nel corso del film svolgere azioni incredibilmente umane: la telefonata della buonanotte al figlio, la grigliata domenicale per i suoi commilitoni, le partite alla playstation per distrarsi. Tutti i crimini di cui si macchia sono per lui niente di più di un lavoro, un'azione necessaria compiuta senza il minimo bisogno di volerla giustificare sotto una presunta superiorità morale. Ed è forse questo a rendere il suo personaggio così magnetico e intrigante.
Altro merito del film è la capacità di non delineare in modo netto i colpevoli e gli innocenti di questa tragedia. La sceneggiatura è nata da un documentario di inchiesta che il regista realizzato nel 2014 (sempre intitolato The Kill Team), un'idea venuta a Krauss leggendo in un articolo che il soldato testimone chiave al processo del plotone assassino era egli stesso uno dei condannati. La pellicola nasce da questa contraddizione, dalla possibilità per chiunque di essere al contempo vittima e carnefice in un sistema dove, per usare le parole del regista "seguire la propria coscienza è un lusso che non ci si può permettere". Non sicuramente un film rivoluzionario per tematiche o a livello tecnico, ma ci troviamo sicuramente di fronte ad un prodotto di ottima fattura, con un regista consapevole dei propri mezzi e con un idea precisa della storia che intende raccontare.
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