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The Holdovers-Lezioni di vita, recensione del film di Alexander Payne con Paul Giamatti

Dopo 'Sideways', si ricompone la coppia composta da Alexander Payne regista-Paul Giamatti protagonista, per una storia di formazione d'ambientazione scolastica che fa fare allo spettatore un tuffo negli anni '70.

The Holdovers-Lezioni di vita si svolge nell’inverno del 1970, in una prestigiosa scuola privata per ragazzi, la Barton Academy, nel New England, che tra i suoi insegnanti annovera Paul Hunham (Paul Giamatti), docente di lettere classiche, non apprezzato sia dagli studenti che dai suoi colleghi per il suo atteggiamento rigido, scarsamente socievole, e anche poco compiacente nei confronti dei rampolli delle famiglie più facoltose e quindi potenzialmente più generose per quanto riguarda le donazioni all’istituto; subito prima dell’inizio delle vacanze natalizie, è a lui che viene affidato il poco ambito incarico di agire da supervisore per gli studenti che, impossibilitati per l’uno o per l’altro motivo a tornare a casa, trascorreranno le festività lì a scuola (è questo il significato letterale del titolo holdovers): tra di essi, c’è Angus Tully (Dominic Sessa), un ragazzo intelligente anche se un po’ svogliato e apparentemente sbruffone. Lo studente, l’insegnante e le poche persone rimaste loro intorno, come Mary Lamb (Da’vine Joy Randolph), la responsabile della mensa scolastica, si ritroveranno quindi a formare un’improbabile combriccola i cui giorni di vacanza saranno densi di imprevisti e scoperte inattese.

Alexander Payne ritrova Paul Giamatti per un racconto di formazione

Alexander Payne torna alla regia di un lungometraggio dopo l’esperimento nella fantascienza, riuscito a metà, di Downsizing-Vivere alla grande (2017), e stavolta si dedica a un film in costume, che prende ispirazione dalla pellicola francese Vacanze in collegio (1935) e che lo riunisce a Paul Giamatti, già protagonista di uno dei suoi film più apprezzati e riusciti, Sideways-In viaggio con Jack (2004): se in quel film l’attore aveva conquistato pubblico e critica con il suo ruolo del professore e aspirante scrittore timido e un po’ depresso, qui invece interpreta un personaggio che, almeno al primo impatto, potrebbe non suscitare altrettanta simpatia, per via dell’atteggiamento misantropo e l’attitudine di chi preferisce rifugiarsi dietro i suoi tomi classici, sfoggiando anche citazioni in greco e latino inserite nei suoi discorsi, che coltivare i rapporti umani.

La storia però diventa poco alla volta un racconto di formazione che, come succede in questi casi, va a toccare tutti i personaggi coinvolti, facendo uso di alcuni espedienti narrativi consolidati: innanzitutto la figura del docente scolastico che diventa sotto certi aspetti, come suggerito già anche dal sottotitolo, un maestro di vita, così come la raffigurazione di personaggi che, uomini e donne, giovani e adulti, più o meno acculturati o benestanti, si ritrovano comunque, ciascuno a suo modo, alle prese con famiglie inesistenti o sfasciate, e quindi con una sensazione di solitudine con cui fare i conti.

Si tratta dunque di temi e situazioni che a tratti hanno un che di già visto, ma al tempo stesso la sceneggiatura cerca anche, in più di un caso, a scartare e aggirare la soluzione narrativa più scontata per trovare, invece, un’angolazione differente o una lieve variazione sul tema; a fare da sfondo alla trama principale c’è poi il tessuto sociale, storico e politico dell’epoca in cui si svolge la vicenda: i riferimenti alla guerra in Vietnam, che in quel periodo faceva vittime anche tra i più giovani, andando così anche a rimarcare le differenze di ceto socio-economico tra una famiglia e l’altra; i personaggi principali del film finiscono così per rappresentare le diverse facce, diverse e complementari, di un’America smarrita e confusa.

Una storia dal tocco vintage che rimanda esplicitamente al cinema degli anni ’70

The Holdovers è un film che ci mette un pochino a decollare definitivamente, con la trama che si prende il suo tempo per carburare, lasciando nel frattempo in secondo piano o abbandonando presto anche personaggi e situazioni che invece potevano sembrare, all’inizio, potenzialmente più significativi: forse sarebbe stato ancora più efficace come film più piccolo e intimista, anche nella durata, mentre con i suoi 130 minuti abbondanti rivela ambizioni più elevate e solenni; se, quindi, la sceneggiatura in alcuni punti va a perdere qualcosa in compattezza, o scivola inevitabilmente verso un filo di retorica e di didascalismo, rimangono invece più impresse alcune sequenze ben congegnate che, in bilico fra il dramma e la commedia, sia nelle azioni che nei dialoghi, contribuiscono a definire al meglio personaggi e situazioni. Uno dei punti di forza è dunque il trio degli interpreti principali, con un Paul Giamatti in un ruolo evidentemente tagliato su misura per lui, che ai modi burberi unisce l’inevitabile tocco di malinconia e anche di umanità, a cui fa da contraltare il personaggio, a lui complementare, di Da’Vine Joy Randolph (che ricordiamo in Dolemite is my name e The Lost City, oltre che in Only murders in the building e The Idol in tv) e la rivelazione dell’esordiente Dominic Sessa, che rimane subito impresso grazie a un volto e a una presenza scenica decisamente particolari.

Altra particolarità di The Holdovers è che si propone da subito, fin dai titoli di testa, non solo come un film in costume, ma proprio come un’opera realizzata nello stesso periodo in cui è ambientata, anche dal punto di vista formale: sebbene sia stato girato in digitale, in post-produzione sono stati aggiunti tutti quegli effetti visivi, come gli aloni, la grana della pellicola, e un aspetto “sporco” in generale, che gli conferissero quel look tipico di un film degli anni ’70; a questo si somma l’elegante lavoro scenografico, che immerge lo spettatore nelle aule e nei corridoi della scuola, nei diner e nei bar popolati da un campionario di varia umanità, perfino in una sala cinematografica dove si proietta Piccolo grande uomo (1970), tra interni fatti di arredamenti in legno, caminetti dal fuoco scoppiettante e giacche di velluto, e un paesaggio, al contrario, freddo e ghiacciato, in cui a dominare è il bianco della neve.

Per la sua ambientazione natalizia, The Holdovers potrebbe essere definito a tutti gli effetti un nuovo e potenzialmente classico, seppur vagamente atipico, film per le feste (anche grazie alla colonna sonora, che propone molti classici del genere) anche se da noi arriva in sala adesso, proprio mentre sta entrando nel vivo la stagione dei premi cinematografici, in cui la pellicola si sta già facendo valere, specialmente grazie alle interpretazioni di Giamatti e Randolph (premiati, tra le altre cose, ai Golden Globe) in attesa dell’annuncio delle candidature agli Oscar.

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