The Gentlemen, recensione del nuovo film di Guy Ritchie
Con 'The Gentlemen' Guy Ritchie torna a parlare dei suoi amati criminali in una Londra che sembra essere sospesa, fuori dal tempo
di Erika Pomella / 28.04.2020 Voto: 7/10
Archiviato il capitolo live action con Aladdin e quello più prettamente fantasy di King Arthur, Guy Ritchie torna a parlare della sua criminalità riconoscibile, fatta di incastri e intrighi e sorretta da dialoghi che, da sempre, sono il marchio di fabbrica del regista inglese.
In The Gentlemen Guy Ritchie ritrova Charlie Hunnam, con cui aveva collaborato proprio in King Arthur. L'attore di Sons of Anarchy interpreta Ray, un uomo che nella sua bellissima casa riceve la visita di Fletcher (Hugh Grant), giornalista che lavora per Big Dave (l'Eddie Marsan di Ray Donovan). Fletcher arriva a casa di Ray per raccontargli una storia e, nel frattempo, ricattarlo per farsi pagare un ingente somma di denaro. Perché la storia che Fletcher racconta ha a che fare con il capo di Ray, Michael Pearson (Matthew McConaughey), un uomo d'affari ben vestito, che, nato dai quartieri più poveri, ha costruito la sua scalata sull'erba, che ancora gli frutta molto. Ray ascolta la storia di Fletcher, che chiama in causa molti altri personaggi: un coach di boxe (Colin Farrell), un rampollo criminale con grandi ambizioni (Henry Golding) e un altro uomo d'affari altolocato (Jeremy Strong). E tutta la storia ruota intorno a Michael e alla moglie Rosaling (la Michelle Dockery di Downton Abbey e Defending Jacob).
È davvero difficile cercare di raccontare la storia, e più in particolare la trama di un film come The Gentlemen, dove c'è il rischio davvero di fare spoiler dietro ogni angolo. Questo perchè Guy Ritchie ha confezionato un film che funziona con un meccanismo a matrioska, dove ogni informazione potrebbe nasconderne un'altra e la visione procede dunque per ipotesi e colpi di scena. Si potrebbe dunque affermare, senza paura di essere troppo in errore, che The Gentlemen è uno di quei classici film che andrebbero visti senza sapere molto a riguardo, in una scoperta continua che rappresenti per lo spettatore un vero e proprio viaggio all'interno della Londra che Guy Ritchie trasforma con il suo tocco riconoscibile.
Va però riconosciuta una pecca al film: ci mette un po' a carburare. Se, nei precedenti film del regista di Sherlock Holmes, lo spettatore veniva buttato immediatamente in un'azione che quasi non lasciava il tempo di respirare, The Gentlemen, pur iniziando in medias res (il che potrebbe causare qualche problema di comprensione se non state attentissimi a quello che vi viene raccontato), si prende tutto il suo tempo per costruire il castello di carte su cui fonda le radici la storia.
Quindi non abbiate fretta di seguire intrighi e tracce e tradimenti: The Gentlemen è un film incentrato molto più sull parola, sull'arte di raccontare la verità, in tutte quelle sue sfaccettature che possono renderla molto simile a una menzogna. L'inizio è decisamente più lento rispetto ai ritmi a cui eravamo abituati con questo metteur en scene: si potrebbe dire, per usare un modo di dire ormai usurato, che il film procede come un motore a gas, perché è certo che una volta che è partito è difficile stargli dietro.
Ottime le interpretazioni di tutto il cast chiamato in causa: ma un plauso particolare va fatto senz'altro a Hugh Grant, vero e proprio gioiello di The Gentlemen e interprete dal quale era pressoché impossibile distogliere lo sguardo, tanto che quando non era in scena si sentiva la sua mancanza. Infine, come sempre, un cenno en passant alla colonna sonora, che viene resa sempre in modo magistrale da Guy Ritchie, al punto da essere un personaggio aggiunto. È quello che accade anche con The Gentlemen, dove la musica a volte serve a sottolineare quell'ironia tipica di Ritchie, in grado di strappare una risata anche in mezzo alla brutalità della vita.