The Danish Girl, la recensione
'The Danish Girl' è un film dall'impianto classico e dall'anima commovente, che non mancherà di irretire il pubblico. Ottimi gli interpreti e la regia di Tom Hooper; qualche smorfia in meno, e la pellicola sarebbe stata un capolavoro.
di Erika Pomella / 12.09.2015 Voto: 8/10
Einar (Eddie Redmayne) è un uomo apparentemente felice: vive in una bella casa con la moglie Gerda (Alicia Vikander), con la quale condivide anche la passione per la pittura. La coppia è affiatata e sembra trascorrere un matrimonio quasi idilliaco, tanto da attirare le prese in giro affettuose di conoscenti e amici. Ma c'è qualcosa che si nasconde sotto la pelle diafana di Einar, una presenza nascosta nelle pieghe del tempo, rinchiusa nella gabbia dell'infanzia e tenuta lontana dalla luce per paura del rifiuto della società. Quando però Gerda convince suo marito Einar a travestirsi da donna per poter andare ad una festa senza attirare troppo l'attenzione, quell'antica presenza ritorna a galla, chiedendo l'attenzione che merita. Gerda assiste così, quasi impotente, alla trasformazione di Einar in Lily, una donna intrappolata nei muscoli di una fisicità maschile. Per lei inizierà allora un lungo cammino di identificazione, che andrà di pari passo con quello di Gerda; mentre Lily cerca una via per ritrovare il proprio corpo, Gerda dovrà imparare non solo ad accettare la persona che ha accanto, ma anche se stessa. In questo potrà fare affidamento su Hans (Matthias Schoenaerts), un vecchio amico di Einar, e l'amica Oola (Amber Heard).
Presentato in concorso alla 72° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, The Danish Girl è la nuova pellicola firmata dal regista britannico Tom Hooper, che negli scorsi due anni ha attirato l'attenzione dell'Academy con i suoi ultimi film, Il discorso del re e Les Misérables. Destino che sembra sfiorare anche questo nuovo lavoro che difficilmente verrà lasciato fuori dalla corsa agli Oscar. The Danish Girl racconta la storia di Lily Elbe, la prima transgender della storia, che stanca di combattere contro un muro fatto di muscoli e nervi maschili, cercherà la sua via per potersi riconoscere nell'immagine allo specchio. Ad interpretarla c'è l'attore inglese Eddie Redmayne, fresco vincitore dell'Oscar per la sua interpretazione di Stephen Hawking in La teoria del tutto, e che ne Les Misérables dava il volto all'eroe Marius. L'attore riesce perfettamente a calarsi nella parte, riuscendo a creare i due volti che fanno da corollario a tutto il film, quello di Einar e quello di Lily. Nella parte del rinomato pittore, Redmayne è fatto di sorrisi e risate improvvise, di aneddoti e scherzi fatti quasi sempre ai danni della moglie. E' quello che si potrebbe dire un uomo felice. Quando invece è Lily ad emergere l'attore si nasconde dietro un trucco quasi da anni '40, con una parrucca rossa che ne esalta le efelidi; e Lily è un tentennare di gesti confusi e quasi timidi, uno sbattere continuo di ciglia (a volte fin troppo), una smanceria dietro l'altra, dietro la quale però si nasconde il bisogno di essere vista, guardata e accettata dopo aver passato tanti anni nascosta nell'ombra della vergogna. Al suo fianco c'è Gerda, una Alicia Vikander veramente sorprendente, che tratteggia il ritratto di una donna quasi indistruttibile. Una donna che ha visto la sua vita cadere a pezzi, convinzione dopo convinzione, ma che ha trovato comunque il modo per accettare persone e situazioni che avrebbero messo alla prova anche il più pio degli uomini. Gerda è una donna buona, onesta e leale; una donna spaventata e stanca, che non sa come fronteggiare qualcosa al limite del surreale. Ed è proprio in questa lotta tra Gerda e le due personalità interpretare da Redmayne che si nasconde il vero fulcro del film. Perchè nonostante la battaglia di Einar/Lily sia spaventosa e terribile, non si può non dire come il personaggio veramente eroico sia Gerda, con la sua comprensione e le sue lacrime, con il suo bisogno di abbracci dati contro un cielo che piange pioggia e paura di andare avanti.
The Danish Girl è un film dal forte impianto classico, in cui il regista nasconde la propria personalità dietro la storia che ha deciso di raccontare. Tom Hooper conferma se stesso, costruendo un universo diegetico fatto soprattutto di primi piani (che è un po' la marca del suo fare cinema), con la macchina da presa che cerca di violare che confine ultimo che separa il pubblico dal personaggio messo in scena. Il regista non si accontenta poi dei primi piani, ma scende ancora più a fondo, come se l'occhio fosse continuamente assetato di nuove storie da seguire lungo il reticolo delle vene, con dei decadrage improvvisi che sottolineano lo stato mentale dei personaggi senza bisogno di ricorrere a lunghe e noiose spiegazioni che Hooper riesce a tratteggiare con il semplice movimento del suo mezzo d'espressione. Il risultato è un film solido, commovente, che fa riflettere. Un ultimo cenno va fatto ai due attori "secondari" – le virgolette sono d'obbligo. Da una parte c'è la meravigliosa Amber Heard, che lungi dall'essere solo la bella bambolina bionda che si accompagna a Johnny Depp, dimostra una straordinaria padronanza di se stessa e del suo corpo, tanto da riuscire a camuffare la sua nascita e la sua essenza texana dietro un accento che sembra uscito da Downton Abbey. Sebbene sia in scena veramente per un tempo limitato, Amber Heard riesce comunque lasciare una profonda traccia del suo passaggio. L'altro interprete su cui occorre soffermarsi un momento è il belga Matthias Schoenaerts che da quando si è presentato al pubblico con il bellissimo Un sapore di ruggine e ossa non ha mai smesso di incasellare interpretazioni magnifiche, piene di pathos, che si sviluppano anche su un minutaggio ridotto. L'attore belga riesce sempre a convincere chi lo guarda, dando sempre una sensazione di presenza e concretezza.