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The Covenant, la recensione del film di Guy Ritchie con Jake Gyllenhaal

The Covenant, in uscita da noi su Prime Video, è un thriller d'azione bellico, diretto da Guy Ritchie, che ci porta nell'Afghanistan del 2018 per una storia di lealtà, amicizia e onore, tra sequenze d'azione e suspense psicologica.

E’ disponibile nel nostro Paese su Prime Video, a partire dal 27 luglio, The Covenant, ultimo film di Guy Ritchie, un thriller d’azione di ambientazione bellica la cui storia è ambientata in Afghanistan nel 2018: John Kinley (Jake Gyllenhaal) è il Sergente capo di un’unità dell’esercito degli Stati Uniti impegnato nella guerra ai Talebani; dopo aver perso in un attentato il loro interprete, c’è bisogno di trovare un sostituto, ed è così che a Kinley viene raccomandato Ahmed Abdullah (Dar Salim), un uomo presentato come poliglotta e capace anche se forse troppo incline a seguire i propri impulsi e quindi non facilissimo da gestire. Ahmed è uno degli uomini che hanno deciso di collaborare con l’esercito americano per ottenere il visto che consentirà, a se stesso e alla propria famiglia, di potersi trasferire negli Stati Uniti, e la sua conoscenza del luogo, delle persone e delle usanze locali si rivela effettivamente preziosa, anche se gli altri a volte sospettano che stia nascondendo qualcosa; in seguito a un attacco dei Talebani, però, John e Ahmed si ritroveranno in fuga, uniti dalla lotta per la sopravvivenza.

Una gradita sorpresa da parte di Guy Ritchie

Guy Ritchie torna dietro la macchina da presa con un film che si distacca dal genere per cui è più noto, quello della crime comedy (come il precedente Operation Fortune, con Jason Statham e Hugh Grant), con un risultato forse per lui (e per lo spettatore) sorprendente, ma di certo non sgradito: The Covenant è per certi versi un caratteristico film di guerra, che presenta situazioni e tematiche tipiche del genere, accompagnate da numerose sequenze d’azione, ma a suo modo è anche un film insolito, che nel corso della sua durata cambia rotta più volte: nella prima parte si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un thriller politico, in cui si raccolgono indizi e informazioni per arrivare all’obiettivo, in un clima di tensione e sospetto, dubbi su lealtà e doppio gioco, per cui la strategia da impiegare è non solo quella costituita dalle tattiche militari ma anche da una componente psicologica; la chiave infatti sta proprio in una frase pronunciata dallo stesso Ahmed, che chiarisce di non essere un semplice traduttore, bensì un interprete, a sottolineare il lavoro più sottile che va fatto nel comunicare con le fazioni avverse, leggendo tra le righe e regolando i comportamenti di conseguenza. Poi però, quando le cose non vanno come previsto e i protagonisti sono costretti a reagire agli eventi, così fa anche il film, che diventa un survival movie, fatto di inseguimenti, fughe e tensione sempre altissima, e così anche nell’ultima parte, dove l’obiettivo diventa invece una missione di salvataggio.

 

In tutto questo, comunque, The Covenant (che significa proprio patto, accordo) diventa la storia del legame indissolubile che si viene a creare in determinate circostanze tra le persone, nonostante, o forse anche proprio per questo motivo, ci siano delle forti differenze nel loro background o anche a livello caratteriale; nonostante porti la firma di un regista britannico, il film possiede in ogni caso qualcosa dello spirito militaristico e del patriottismo yankee che apre il discorso a valori come la lealtà, l’onore, il senso del dovere, oltre a quel cameratismo dato dalla vita nell’esercito, e in questo caso anche l’istinto di protezione che si allarga al resto della famiglia, e che spinge a lottare per una vita migliore per sé e per i propri affetti più cari.

Il film racconta quindi una storia che si dipana su più livelli, non solo tematici ma anche temporali, con pause ed ellissi, e spaziali, con l’azione che dalle località montuose e desertiche, tra villaggi e covi nascosti, dell’Afghanistan, ad un certo punto si sposta anche in un elegante appartamento californiano, mostrando però come il pericolo e la suspense non si limitino a un luogo solo, ma siano come un’onda lunga che segue i personaggi, che si tratti di imbracciare le armi sul campo o di litigare al telefono affrontando e sfidando la burocrazia.

Una trama dai temi profondi e complessi accompagnata da riuscite sequenze d’azione

Proprio perché, sotto una trama apparentemente semplice e lineare, la storia racchiude anche una densità più complessa, in certi punti si ha la sensazione che alcuni aspetti non abbiano tempo e modo di essere esplorati a fondo: il contesto socio-politico in cui si muovono all’inizio i personaggi, soprattutto in relazione al passato di Ahmed, viene affrontato solo in parte, quando strettamente necessario alla trama, così come lascia da parte riferimenti alle decisioni prese dalla politica e dal governo statunitensi; in un altro momento, il film tocca anche il tema delle conseguenze mentali e psicologiche dell’impegno al fronte, con un accenno anche alla PTSD (sindrome da stress post-traumatico) di cui è risaputo che molti soldati e veterani si trovano a soffrire, anche se qui non diventa il centro focale della storia.

Le sequenze d’azione in The Covenant sono ben padroneggiate a livello tecnico ed estetico da Guy Ritchie, che naturalmente ha una certa esperienza in materia (ricordiamo che è anche il regista dei due Sherlock Holmes cinematografici) e sono particolarmente valorizzate anche dalla bella colonna sonora di Christopher Benstead, che invece di utilizzare suoni roboanti e incalzanti predilige, a contrasto, una musica molto più melodica e coinvolgente.

A capeggiare il cast ci sono Jake Gyllenhaal, che non è nuovo ai film bellici (Jarhead di Sam Mendes) e Dar Salim, l’attore danese di origini irachene visto al cinema in Exodus-Dei e re di Ridley Scott ma soprattutto nella serie tv danese Borgen-Il potere; è l’alchimia fra i due interpreti e i loro personaggi, proprio nelle loro differenze, a fornire la base anche emotiva del film.

The Covenant non è ufficialmente ispirato a storie o persone reali, ma comunque si basa su situazioni verosimili, dato che, come ci ricordano anche le scritte sul finale, ci sono stati (e ci sono ancora) interpreti e traduttori in pericolo di vita e costretti alla fuga, specialmente dopo il ritiro delle truppe USA e la ripresa del potere da parte dei Talebani.
In conclusione, si tratta di un film che coniuga solido intrattenimento a un impianto realistico, con una storia avvincente senza troppi eccessi, che mantiene la suspense a livello psicologico senza lesinare sull’azione, con interpreti in parte.

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