Una fantastica Cate Blanchett è la protagonista di un dramma psicologico che affronta tematiche attuali con una narrazione inconsueta, esplorando un ambiente poco conosciuto.
La stagione dei premi entra nel vivo e nelle nostre sale arriva finalmente anche TÁR, presentato in anteprima alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia e attualmente candidato a 6 premi Oscar.
Lydia Tár (Cate Blanchett) è una musicista, compositrice e direttrice d'orchestra rinomata e acclamata a livello globale: prima donna a condurre la Filarmonica di Berlino, vincitrice di Oscar, Grammy, Emmy e Tony Award, vive nella capitale tedesca con la compagna violinista e la bambina siriana che hanno adottato; all'inizio del film la troviamo all'apice della carriera, intenta nella promozione di un nuovo libro e nei preparativi di un'attesissima registrazione dal vivo della Quinta Sinfonia di Mahler.
È proprio allora, però, che cominciano a trapelare indiscrezioni che fanno riferimento a un caso di abusi sessuali dalle conseguenze tragiche e, in breve, iniziano a minare le fondamenta della sua vita tanto lavorativa quanto privata.
TÁR è scritto e diretto da Todd Field, ex attore (lo ricordiamo nel ruolo del pianista amico di Tom Cruise in Eyes wide shut di Kubrick), poi passato alla regia con due film molto apprezzati e premiati dalla critica (In the bedroom e Little children), prima di un'assenza dal grande schermo durata ben sedici anni.
Si tratta di un'opera di finzione in cui si affronta il tema degli scandali sugli abusi di potere che hanno fatto scalpore negli ultimi anni, ma con un parziale ribaltamento, dato che in questo caso c'è una figura femminile nel ruolo del cosiddetto predatore, andando così a capovolgere l'assunto per cui questo tipo di accuse sarebbero solitamente legate a una questione di genere.
Non aspettarsi un film musicale, semmai una storia che ritrae un ambiente, lavorativo quanto umano, finora poco noto e raramente esplorato dal cinema e, un po' come Il cigno nero aveva fatto con il mondo della danza classica, mostrandone i meccanismi anche spietati: rivalità, tensioni, sorrisi a denti stretti, ambizione contenuti in un mestiere basato sulla disciplina e la ricerca dell'eccellenza artistica, un'impresa collettiva ma regolata da chi è al comando, in cui si lotta per proteggere la propria posizione e il raggiungimento della perfezione, con l'arrivo sulla vetta, può portare a sentirsi intoccabili.
Nel mostrare il lavoro della protagonista, si esalta la musica soprattutto nel suo aspetto più cerebrale, fatto di precisione, in cui l'armonia delle parti è frutto di un ordine quasi matematico, e dunque anche l'emozione è regolata e disciplinata.
Ed è in questa vita apparentemente così perfetta e rigorosa, fatta di interni eleganti e asettici, grandi spazi in cui i suoni riverberano, che inizia a farsi strada qualcosa di dissonante: come in un thriller-horror, l'atmosfera si riempie di misteriosi rumori notturni e grida lontane di cui non si capisce la provenienza, si viene contaminati dalla malattia e dalla morte che alloggiano subito dietro la propria porta, ci si addentra in cupi locali sotterranei che custodiscono un pericolo, finché turbamenti interiori non prendono la forma di ferite visibili, impresse sulla pelle.
C'è anche il riferimento alla cosiddetta cancel culture, e la questione molto attuale per cui ci si chiede se il giudizio sulla vita privata degli artisti debba o no influenzare l'opinione che si ha delle loro opere; in questo trova spazio anche un confronto generazionale, perché la stessa Lydia viene considerata una figura di mentore per aspiranti musicisti, e anche il ritratto che emerge di questi giovani non è estremamente positivo: intimoriti o narcisisti, polemicamente ribelli o supponenti, pronti a ridefinire carriera e successo secondo nuovi parametri e atteggiamenti.
TÁR è un film che ha dalla sua la scelta di un approccio inusuale alla materia per una storia che così evita la ricaduta in qualche cliché o situazioni già viste, con una grande cura formale anche nei dettagli; d'altra parte, l'atmosfera spesso volutamente criptica, oltre alla lunga durata, la possono rendere un'opera parzialmente ostica al pubblico, così come una struttura narrativa che, dopo aver fatto montare la tensione, trova un finale invece un po' sottotono. La carta vincente però è comunque la sua protagonista, un personaggio femminile intrigante, ambiguo, che non si sforza di piacere al pubblico a tutti i costi, resa magnificamente dalla Blanchett in un ruolo cucito su misura per lei, un'attrice la cui poliedrica bravura non finisce mai di stupire, e per la quale si parla già da tempo di un possibile terzo Oscar.
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