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Talk to me, recensione del film horror australiano

Dall'Australia arriva Talk to me, l'opera prima dei fratelli gemelli Danny e Michael Philippou, potenziale primo capitolo di una nuova saga horror che ruota attorno a un'antica e misteriosa mano attraverso la quale è possibile entrare in contatto con il mondo dei defunti.

Il genere horror è sempre alla ricerca di nuovi autori, e possibilmente anche di nuovi potenziali franchise, che contribuiscano a ridare linfa a una categoria cinematografica spesso alle prese con storie ed elementi già noti, ma che ciclicamente tentano di aggiornarsi per restare al passo con i tempi ed entrare in sintonia con le ultime generazioni, che solitamente ne sono il pubblico ideale e designato. Uno degli ultimi titoli lanciati come nuovo fenomeno del cinema dell’orrore è il film Talk to me, che arriva nel nostro Paese preceduto da un’ottima accoglienza di critica nei festival internazionali in cui è stato presentato, come il Sundance Film Festival.
La storia è ambientata in Australia, dove un gruppo di adolescenti entra in possesso di una mano imbalsamata, di origine incerta e misteriosa: qualcuno dice che appartenesse a una veggente, c’è chi parla di un satanista, ma la cosa certa è che stringere questa mano e pronunciare la frase “Parla con me” faccia entrare in contatto diretto con il mondo dei morti, lasciandosi possedere dalle anime dei defunti, e il rischioso passatempo viene utilizzato per realizzare video che diventino virali sul web. Tra le persone che si lasciano convincere a tentare il gioco ci sono anche Mia (Sophie Wilde), un’adolescente rimasta orfana di madre in circostanze poco chiare, la sua migliore amica Jade (Alexandra Jensen) e il fratello minore di quest’ultima, Riley (Joe Bird). Quando però Mia si convince di poter parlare con sua madre tramite la mano imbalsamata, i limiti del divertimento vengono inevitabilmente superati e ci si rende conto che le conseguenze possono divenire molto pericolose.

Un’opera prima che ha le sue origini sul web

Talk to me è diretto da Danny e Michael Philippou, fratelli gemelli australiani, che con questo film debuttano dietro la macchina da presa come registi di un lungometraggio, ma avevano già acquisito una certa notorietà grazie al loro canale Youtube, dal nome RackaRacka, su cui una decina d’anni fa hanno cominciato a caricare video e cortometraggi di horror comici, e poi hanno partecipato alla realizzazione del film Babadook (2014), altro horror australiano di successo.

Guardando il film Talk to me si ha l’impressione che per certi versi sia un prodotto che prova a sganciarsi da alcune caratteristiche di un tipico teen horror, magari con la voglia di aggirare o scomporre certi cliché del genere: evita ad esempio alcuni eccessi di didascalismo o lunghe spiegazioni sentenziose, optando per una struttura narrativamente più sfumata; d’altro canto, però, non si allontana nemmeno completamente dai canoni, come se poi mancasse qualche idea forte e nuova con cui distinguersi dai suoi predecessori.

Dopo un inizio di grande impatto dal punto di vista formale, anche grazie all’utilizzo del piano sequenza (che scopriremo solo più avanti in che modo sia collegato agli eventi successivi della trama), Talk to me non è un horror che vuole distinguersi per il numero dei cosiddetti jump scare, ma costruisce dei momenti che riescono ad impressionare più che a spaventare, con alcune immagini visivamente forti ma che non scadono in un gore eccessivamente gratuito. Sotto altri aspetti, invece, la storia ricorre a una serie di elementi già ampiamente noti e sfruttati dal genere: possessioni, antichi rituali, dolorosi lutti da elaborare, famiglie o genitori assenti, relazioni adolescenziali, festini da organizzare sfruttando l’assenza degli adulti, animali morenti che diventano simbolo e metafora di qualcos’altro, e via dicendo.

La trama del film incorpora anche il tema degli adolescenti moderni che, cellulare sempre alla mano, sono alla ricerca di contenuti virali sui social, e quindi dei rischi che si è disposti a correre per accrescere il numero di like o visualizzazioni, ma è un aspetto che viene semplicemente dato per assodato, senza troppo approfondimento; sappiamo inoltre che la presenza nel cast di Zoe Terakes, interprete transgender, ha suscitato polemiche e addirittura censure in alcune parti del mondo, ma la sceneggiatura non propone riflessioni sul tema dell’identità di genere, così come, tranne qualche vago accenno, su minoranze e mescolanza etnica, che in Australia sono un dato di fatto.
Il volto più noto del cast è quello di Miranda Otto (indimenticata Eowyn ne Il signore degli anelli) ma a dominare sono i giovani, a partire dalla protagonista Sophie Wilde (vista anche in The Portable Door).

Talk to me, un horror a basso budget che ha il potenziale per avviare un nuovo franchise

Al netto dell’hype promozionale, il film dei fratelli Philippou è un’opera prima che vuole a sua volta omaggiare ed evocare gli esordi a basso budget di altri cineasti nel genere horror, con una storia che in certi momenti sembra indecisa se ripercorrere strade già battute o cercare l’innovazione, e dunque non riesce a stupire fino in fondo, in una trama esile che quindi, se non viene governata alla perfezione, rischia di diventare una debolezza; allo stesso tempo, però, Talk to me si propone come il possibile inizio di un nuovo redditizio franchise (con un prequel e un potenziale sequel già in preparazione) che diventi un appuntamento fisso per le nuove generazioni.

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