Suite Francese: il capolavoro di Irène Némirovsky
'Suite Francese' è il capolavoro di Irène Némirovski che oggi rivive al cinema grazie ad una pellicola con Michelle Williams e Mathias Schoenaerts.
di Erika Pomella / 18.03.2015 Voto: 8/10
E' da poco arrivato al cinema Suite Francese, l'ultimo film di Saul Dibb, che forse i più conoscono per aver diretto Keira Knightley in La Duchessa. La pellicola si concentra sulla storia d'amore che viene a crearsi tra la bella Lucile (Michelle Williams) e il comandante tedesco Bruno (Mathias Schoenaerts) durante l'occupazione tedesca nel bel mezzo della seconda guerra mondiale. Presentata come una delle storie d'amore più belle e intense che siano mai state raccontate, Suite Francese ha soprattutto il merito (e la responsabilità) di nascere dall'omonimo romanzo di Irène Némirovski.
Nata in Ucraina e dopo essersi spostata a San Pietroburgo, in Finlandia e a Stoccolma, la Némirovsky approda finalmente in Francia, alla giovane età di sedici anni. La sua è sin da subito una vita fatta di addii precoci, di strappi continui dalle culture, una vita in qualche modo che è sempre in movimento, che non si ferma mai, neanche quando la scrittrice nella Francia sembra trovare il proprio paese. Ma non è tanto (o non solo) la sua biografia a suscitare interesse: l'intera esistenza della sua opera più famosa, Suite Francese, è frutto di arzigogolati voli del destino. Sono gli anni della seconda guerra mondiale e Irène, ebrea, è costretta a trasferirsi insieme al marito e alle figlie a Issy-l'Eveque, un piccolo villaggio della Borgogna che oggi conta circa 850 abitanti, per sfuggire alle leggi razziali. Qui comincia a scrivere Suite Francese, opera che nelle sue intenzioni doveva contare cinque movimenti, cinque storie che mettessero in luce il sublime e il grottesco della guerra, intesa come una delle esperienze più orribili e insieme più veritiere che l'umanità debba affrontare. L'autrice, allora, utilizza la sua arma più affilata – la scrittura – per guardare con occhio critico al suo amato paese, al baratro in cui è sprofondato: è attraverso l'inchiostro che cade dalla sua penna e che da forma a moltissimi personaggi, che Irène cerca in qualche modo di esorcizzare il fantasma della guerra, così come la sua reclusione, quel sentimento di abbandono che sente provenire dalla parte di una Francia che ora la allontana quasi con disprezzo. Di quei cinque movimenti auspicati, tuttavia, la Némirovski riesce a completarne solo due, Tempesta di Giugno e Dolce. Il blocco della stesura è dovuta all'arresto della stessa scrittrice che, nel luglio del '42, viene arrestata e deportata ad Auschwitz, dove morirà un mese più tardi, a soli trentanove anni. Bisognerà poi attendere il 2004 perchè questi due movimenti già scritti vedessero la luce della pubblicazione, grazie ad una delle figlie dell'autrice, che ritrovò miracolosamente il manoscritto.
Suite Francese, dunque, è un'opera interrotta ma che non si può definire incompleta, soprattutto visto che i primi due movimenti furono scritti nella loro completezza. Quello che forse sarebbe più corretto dire è che proprio in questo work in progress, in questo lento divenire interrotto dalla brutalità di una delle pagine più oscure della storia dell'umanità. Il lettore si trova così immerso in una sorta di fucina, un laboratorio in continuo mutamento, che ha nel linguaggio il suo protagonista assoluto. E' possibile notare alcune discrepanze (come ad esempio con dei nomi che cambiano da una pagina all'altra), alcuni difetti; la sensazione è quella di un voyeur, un piccolo viaggiatore che si attarda dietro i vetri di uno studio letterario per vedere come, quando e in quale misura il semplice atto della scrittura si trasforma in arte, in valori letterari.
Némirovski scrive dunque con la rabbia di una reietta, una persona cacciata da un paese che avrebbe dovuto difenderla; eppure, nonostante questo, riesce a mantenere la mente fredda per scrivere un affresco dalle velleità storiche, che riesca ad analizzare come la guerra influisca sulla vita degli uomini, sul come li riduca ad un agglomerato di carne in movimento il cui motto sembra essere un egoistico mors tua vita mea. Nel mondo che la scrittrice tratteggia con i suoi personaggi non c'è più spazio per la nobilità d'animo, la lealtà, la correttezza. Lo scenario che si apre davanti agli occhi del lettore è uno scenario cannibalistico, sempre pronto a divorare: un mondo dove la differenza è fatta dalla classe sociale di appartenenza, dalla ricchezza, dalle conoscenze utili a fuggire dall'inevitabile. Soprattutto, però, Irène Némirovski mette in scena le donne: donne sole, che hanno i propri mariti al fronte, che aspettano notizie che probabilmente non arriveranno mai. Donne che cercano di muoversi in quel mondo completamente nuovo: madri che devono sopravvivere al non sapere se il proprio figlio è vivo o morto; "preferite" che vedono il proprio uomo fallire nell'adamitico compito di proteggerle; donne d'alta società che tentano di salvare i loro effetti materiali, come se non volessero accettare che la guerra, come un vento funesto, cancella utte le regole, tutte le discriminazioni.
Nel primo racconto, Tempesta di Giugno, il lettore si trova davanti ad una moltitudine di persone che, davanti all'invasione militare tedesca, si appresta a lasciare Parigi, i propri averi, le proprie speranze e tutta la fiducia riposta nella madre patria e nei valori di liberta, fratellanza. I parigini lasciano la ville lumière e si muovono verso la campagna. Lento, doloroso, insensato, questo movimento non rappresenta in alcun modo un incedere verso una meta o anche solo una futile speranza. Si ha piuttosto l'impressione di essere davanti ad un circolo vizioso, una situazione senza fine simile a quella raccontata nel mito di Sisifo. I protagonisti – tutti uniti sotto un unico destino, miserabili e ricchi insieme – non riescono mai davvero ad andare avanti e i loro passi sono cadenzati solo dalla tempesta di giugno, quella che viene dall'alto, quella che fa piovere fuoco invece di acqua, che uccide invece di dar nuova vita. I protagonisti di questo primo movimento sono in realtà già morti, già iscritti nell'almanacco della storia. E nel raccontare questo intreccio di esistenze, paure, sotterfugi e slealtà, Irène Nemirovski tocca forse il punto più alto di questa piccola raccolta.
Il secondo racconto, Dolce, che è quello scelto per la trasposizione cinematografica, è invece un movimento più tranquillo e, in qualche modo, rilassato. Dopo l'esodo, raccontato con la precisione adamantina di un maestro di ritmo, l'autrice racconta dell'occupazione. In un piccolo villaggio francese, infatti, tedeschi e francesi sono costretti a coesistere. Esseri umani in entrambigli schieramenti, questi personaggi però vengono in qualche modo costretti dalle uniformi (o dalle vesti) che indossano. I tedeschi arrivano come vincitori, ma i francesi in loro vedono solo gli arroganti, malvagi e infami uomini che hanno ucciso la loro gente e devastato il loro paese. Sono ai due lati opposti di una barricata per convenzioni sociali e politiche: ma ben presto l'occhio dell'autrice nota come questi due gruppi che inizialmente si rifiutano e si scansano finiscano con l'essere più simili di quanto vorrebbero ammettere.