Still Life, la recensione
Still Life è un film elegante e intelligente, che miscela toni della commedia con il racconto amaro di un uomo solo e spento, trovando una scintilla di vita nel suo mestiere: cercare i parenti di defunti abbandonati a se stessi. Ottime interpretazioni degli attori protagonisti, fotografati molto bene da luci fredde e gelide, che rimandano l'immagine inquietante di un obitorio.
di Erika Pomella / 18.12.2013 Voto: 8/10
Presentato in anteprima alla 70a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Still Life è la seconda opera di Uberto Pasolini, che proprio al Lido aveva presentato il suo lavoro d'esordio, Machan. Il film, che ha vinto nella sezione Orizzonti, è un'inaspettata opera che parla di morte e solitudine con una grazia che non rischia mai di scivolare nel facile pietismo, nè nella prostituzione del dolore. Il regista, al contrario, si mostra piuttosto abile nel giostrare i vari timbri della pellicola, che comunque non si allontana mai dai colori di una commedia amara, dove riso e commozione vanno quasi di pari passo. Toccante e ispirato, Still Life deve i suoi maggior pregi sulle ottime interpretazioni dei due attori protagonisti, Eddie Marsan, visto recentemente oltre oceano nella serie tv Ray Donovan, e Joanne Froggatt, la tanto amata Anna della serie britannica Downton Abbey.
John May (Marsan) è un impiegato che si occupa di dare sepoltura ai molti defunti che abbandonano questo mondo senza avere nessuno che pianga la loro morte. John si fa carico di questo compito: oltre a svolgere le sue funzioni, infatti, l'uomo si preoccupa anche di scrivere elogi funebri di prima categoria, e scegliere la musica che meglio si sposa con la triste occasione. Questo attaccamento alla professione, tuttavia, non incontra il favore dei superiori di John, che preferiscono passare i compiti ad un altro reparto, chiudendo quello di John e lasciando l'uomo praticamente senza lavoro. Quando però Billy Stoke, un vicino di casa, sconosciuto e apparentemente solo, muore, John prende a cuore il suo caso e prega i suoi superiori affinchè gli concedano il lusso di occuparsene, prima di dire addio. Inizia così per John un viaggio sulla strada e dentro l'anima, alla ricerca di parenti e amici del defunto, e di un nuovo proprio posto nel mondo. Quando l'uomo si imbatte nella figlia che Billy ha abbandonato (Froggatt), sembra che una via di fuga, forse, sia possibile …
In Still Life Pasolini sceglie una tematica rischiosa, dalle forti venature cupe; il regista, però, riesce a gestirla con un'eleganza fuori dal comune. Questo perchè il tema al centro del racconto non è solo la Morte intesa come quell'oscura signora con la falche in mano che impietosamente ci strappa da questo mondo. E' una morte più sottile e infida: quella che si insinua nella quotidianità e la divora, trasformandola in un buio plumbeo dove è la solitudine a farla da padrone. Ecco allora che John May, proprio come i defunti a cui presta un pezzo di cuore, è un uomo solo, abbandonato a se stesso, che probabilmente si trascina dietro il terrore di venire dimenticato nell'attimo stesso in cui smetterà di respirare. A questo probabilmente si collega la sua (quasi) ossessione per la buona riuscita del suo lavoro. In lui arde la speranza che, un giorno, quando anche l'ultimo afflato di vita avrà abbandonato il suo corpo, ci sarà qualcuno disposto a prendersi cura dei suoi resti mortali.
Tutto questo – il senso di solitudine imperante e l'oscuro senso di predestinazione che serpenteggia per tutta la diegesi – si sposa alla perfezione con una fotografia volutamente fredda e quasi asettica, che non aiuta in alcun modo lo sviluppo di un rapporto empatico che tuttavia lo spettatore riesce a tirar fuori dalla propria anima, grazie soprattutto alla maestosa interpretazione del protagonista. Con il suo incarnato pallido e lo sguardo fisso sul mondo che lo circonda, Marsan dà una concretezza a John May, rendendolo piacevole, sebbene vagamente inquietante. Il ricorso, poi, ad un tipo di ironia che si potrebbe quasi definire stonato, Still Life riesce a non annoiare (nonostante alcune scene utilizzino un ritmo piuttosto lento) e a non essere mai pedante, cosa non facile visto il tema trattato.