

Room, la recensione
Room è un film potente, dal grande impatto emotivo, che racconta una storia sconvolgente ma con grande semplicità, grazie soprattutto alla bravura dei suoi protagonisti.
di Giorgia Tropiano / 19.10.2015 Voto: 8/10
Room, nuova pellicola di Lenny Abrahamson, regista irlandese famoso per il film Frank presentato al Sundance Film Festival nel 2014, è l'adattamento cinematografico del romanzo Stanza, letto, armadio, specchio scritto nel 2010 da Emma Donoghue, a sua volta ispirato al caso di cronaca nera, famoso come caso Fritzl, in cui una donna austriaca ha vissuto per 24 anni chiusa in un bunker costruito dal padre e in seguito a ripetuti abusi ha avuto dall'uomo ben sette figli. Il film è stato presentato in anteprima al Telluride Film Festival e anche all'ultimo Toronto International Film Festival dove ha vinto il People's Choice Award come miglior film. Ora approda anche in Italia per la prima volta grazie alla Festa del Cinema di Roma.
Joy Newsome (Brie Larson) viene rapita da un uomo all'età di diciassette anni e viene rinchiusa all'interno di una stanza per anni. Ha un figlio di ciqnue anni, Jack, nato come conseguenza dei ripetuti abusi subiti dalla ragazza. Il bambino nasce e cresce all'interno della stanza, senza mai uscire fuori, non sapendo cos'è il mondo, non conoscendo nessun'altro che non sia sua madre e il rapitore che però vede solo attraverso l'armadio dove si nasconde durante le tante visite. Nonostante la condizione in cui è costretto a vivere, il bambino è felice perchè non sa che esistono un'infinità di altre cose fuori dalla sua stanza, il suo mondo è solo quello, fatto di una vecchia tv, un letto, un armadio e poco altro. Ora che Jack è cresciuto ed è capace di comprendere la drammaticità della situazione, Joy decide di metterlo al corrente di tutto, in modo da poter preparare insieme un piano per scappare.
Room è un film potente sotto vari punti di vista. Innanzitutto lo è perché si basa su una storia vera ed è un fatto di cronaca così sconvolgente da sembrare impossibile al pensiero. La pellicola, così come il libro da cui è tratto, decidono poi di mostrare i fatti attraverso gli occhi innocenti di un bambino, un piccolo essere umano che non conosce il mondo, che ha vissuto chiuso all'interno di pochi metri quadrati per tutta la vita, e anche ciò non fa che rendere la storia assolutamente coinvolgente e speciale. Come lo sono le immagini in cui, per la prima volta, Jack inizia a scoprire il mondo al di fuori della sua stanza, un mondo sconfinato, infinito, così pauroso tanto da fargli desiderare di tornare nel suo di mondo, quello che ha sempre conosciuto. Ma al di là della storia, già di per sè di grande impatto, il regista riesce a calibrare la pellicola alla perfezione. Divide il film in due parti, una prima parte girata tutto all'interno di una stanza. Rende benissimo il senso di claustrofobia nel vivere chiusi lì dentro per anni, soprattutto per Joy che sa cosa c'è fuori e sa cosa si sta perdendo. Rende altrattanto bene le difficoltà che Jack e Joy avranno una volta che riescono a fuggire da lì; tutta la seconda parte del film ci racconta come sia doloroso vivere in un nuovo mondo per il bambino, tant'è che per lui è come se si trovasse su un altro pianeta e come è ancora più difficile per la ragazza, che dovrebbe essere felicissima ma sente un vuoto dentro dovuto a tutto quello che ha passato negli ultimi anni.
Gran parte del merito della riuscita della pellicola è poi sicuramente data dalla straordinaria bravura di Brie Larson ma soprattutto da quella del bambino, che riesce a reggere un film quasi da solo con una naturalezza e una freschezza straordinarie.