Rifkin’s Festival, recensione del nuovo film di Woody Allen
Woody Allen torna in Spagna per una commedia malinconia in cui si ritrovano molti dei temi a lui più cari, che è anche un omaggio ai capolavori del cinema, in particolare quello europeo.
di Matilde Capozio / 06.05.2021 Voto: 6/10
Mentre Woody Allen si trova da tempo coinvolto nelle cronache a causa degli scandali e delle accuse riguardanti la sua vita privata, e che hanno portato tra le altre cose alla perdita di contratti per la produzione e la distribuzione delle sue opere, ecco che il regista ha trovato sostegno in Europa per l'ultima opera da lui scritta e diretta, Rifkin's Festival, finanziata anche da Spagna e Italia e ambientata durante il Festival del cinema di San Sebastiàn, dove è stata poi presentata in anteprima lo scorso settembre.
Il protagonista della storia, Mort Rifkin (Wallace Shawn) è un ex docente di cinema e aspirante scrittore che accompagna la moglie Sue (Gina Gershon), di professione addetta stampa, al Festival del cinema di San Sebastiàn, in Spagna. Mentre comincia a insospettirsi del legame tra la moglie e un giovane e affascinante regista francese (Louis Garrel), lo stesso Mort rimane affascinato da una dottoressa spagnola (Elena Anaya).
Rifkin's Festival è un film puramente alleniano, in quanto vi si ritrovano tanti di quegli elementi cari al cineasta newyorchese: matrimoni infelici, mogli (e mariti) traditori e insoddisfatti, la malinconia di chi riflette su rimpianti e frustrazioni presenti e passate, attrazioni non corrisposte o non destinate a durare, piccole e grandi nevrosi e ipocondrie dell'essere umano, le grandi domande sul senso della vita, quell'umorismo tipicamente ebraico su questioni religiose e filosofiche, dall'amore alla morte, fino alla psicanalisi (a fare da cornice al film è una seduta di Rifkin dal suo analista).
Il film è anche un omaggio alla storia del cinema, in particolar modo ai grandi classici, tanto amati da Mort che invece lancia una frecciata ai giovani autori di film "pretestuosi" ma osannati dalla critica, evocati dal personaggio di Garrel: la trama è infatti punteggiata da sequenze che rappresentano i sogni del protagonista, in bianco e nero, e che citano Fellini, Bergman, Welles, la Nouvelle Vague del cinema francese e altri ancora.
Questa pellicola si inserisce così nel filone dei "film europei" di Allen, tornato in quella Spagna che aveva già fatto da sfondo alle peripezie turistico-sentimentale dei protagonisti di Vicky Cristina Barcelona (tra l'altro riprendendo il personaggio del pittore edonista, che là era Javier Bardèm e che stavolta ha il volto di Sergi Lòpez). Anche Rifkin's Festival può contare dunque su un'atmosfera da cartolina, le bellezze naturali e gli incantevoli scenari di San Sebastiàn e dintorni, esaltati dalla luminosa e morbida fotografia del nostro Vittorio Storaro, con la cittadina basca che fornisce un'ambientazione malandrina ma anche romantica e sognante alle vicende dei personaggi.
Il regista, che non compare nel film come interprete, sceglie stavolta come suo protagonista e alter ego Wallace Shawn, caratterista veterano di tanto cinema e tv (La storia fantastica, Gossip girl, Young Sheldon) affiancato da un cast eterogeneo, con un interessante reparto femminile, e qualche divertente cameo (Christoph Waltz).
Il risultato finale è una commedia amara dai toni blandamente innocui, che senza grandi azzardi o sussulti va a pescare nel repertorio del suo autore, i cui estimatori ritroveranno temi e situazioni familiari e rassicuranti, quasi sospesi ormai in una dimensione senza tempo.