Recensione Viva l’Italia di Massimiliano Bruno
Recensione di Viva l'Italia, l'opera seconda di Massimiliano Bruno con protagonisti Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Ambra Angiolini, Alessandro Gassman. Se la prima parte è molto divertente, la seconda si prende troppo sul serio trasformandosi da commedia ironica a film più impegnato.
di Giorgia Tropiano / 22.10.2012 Voto: 6/10
Viva l'Italia è l'opera seconda di Massimiliano Bruno, diventato famoso per il grande successo, sia di critica che di pubblico, del sul lavoro precedente, Nessuno mi può giudicare, che ha segnato il suo esordio come regista cinematografico, ma non il suo esordio nel mondo del cinema. Per anni è stato uno sceneggiatore molto apprezzato, collaboratore spesso di Fausto Brizzi ed anche autore, regista ed interprete di molte opere teatrali. In questo nuovo film conferma la sua sintonia con Raoul Bova, per la seconda volta protagonista di una sua pellicola, e mette insieme un cast di prim'ordine: Michele Placido che interpreta un politico corrotto, Alessandro Gassman il primogenito poco intelligente, Ambra Angiolini, una figlia raccomandata ma senza talento, e il terzo figlio, il già citato Bova, l'unico in famiglia a discostarsi dal padre e ad intraprendere una propria carriera perseguendo i propri ideali.
Michele Spagnolo (Michele Placido) è un politico corrotto e senza morale, nella vita crede che fingere e raccomandare siano gli unici modi per poter andare avanti e far carriera, ed è quello che ha sempre cercato di insegnare ai suoi tre figli. Valerio (Alessandro Gassman) diventa direttore di un'azienda anche se incapace nel lavoro e Susanna (Ambra Angiolini) ottiene ruoli in fiction nonostante sia un'attrice terribile solo perché il loro padre Onorevole, li ha raccomandati. L'unico che non accetta questo modo di pensare e si allontana dalla famiglia è Riccardo (Raoul Bova), il quale diventa un ottimo medico, socialmente impegnato. Un giorno però Michele Spagnolo ha un malore e gli viene diagnosticata un tipo di demenza che lo porta a dire sempre la verità, senza guardare in faccia nessuno. Questa situazione gli creerà non pochi problemi ma forse era proprio quello che ci voleva per aprire gli occhi, non solo a lui…
Nella situazione in cui si trova l'Italia in questo momento storico particolare sarebbe bello se tutti i nostri politici venissero affetti dalla sindrome di dover dire tutta la verità. Forse non risolverebbe tutti i problemi che affliggono il nostro paese ma di sicuro aiuterebbe a fare luce su molte cose e ad aprire gli occhi ai cittadini, o almeno a quei pochi che continuano a tenerli chiusi. È quello a cui punta il regista di Viva l'Italia, il quale, provocatoriamente, propone di aggiungere un centoquarantesimo articolo alla nostra Costituzione: tutti sono tenuti a dire la verità, sempre. Mai film è più attuale in questo momento e Bruno si diverte a mostrare sul grande schermo tutti gli scandali e le cose sbagliate che siamo costretti ogni giorno a subire, non risparmiando nessuno: si va dalle raccomandazioni, ai raggiri, alle prese in giro in politica, nella sanità, nelle aziende statali, nell'arte; si racconta di un mondo dove non esiste meritocrazia, dove chi è veramente bravo è costretto a lasciare i propri cari e il proprio paese per trovare opportunità maggiori all'estero, dove chi è malato e avrebbe diritto alle cure migliori spesso è abbandonato a se stesso e curato male e così via. Il film non racconta nulla di nuovo, nulla che non è già saltato fuori altre mille volte, non fa altro che evidenziare come, nonostante i problemi siano palesi, non si fa nulla per far cambiare le cose. E anche il finale, che sembra lasciare un filo di speranza allo spettatore/cittadino è, in realtà, più amaro di quello che sembra.
A livello morale è quindi tutto molto giusto, ma non va dimenticato che è un film di cui stiamo parlando e non di un documentario di denuncia. Se la prima parte è quindi molto divertente, con scene comiche molto spassose, la seconda si prende troppo sul serio e Viva l'Italia si trasforma da commedia ironica a film più impegnato che male si abbina al tipo di opera iniziata. Nonostante ciò è comunque un buon lavoro, ben realizzato e con un cast ad alti livelli (molto brava anche Sarah Felberbaum, in un piccolo ruolo ma che rimane impresso), dove su tutti spicca uno straordinario Michele Placido.