Twende Berlin
Twende Berlin

Recensione Twende Berlin


Recensione del documentario Twende Berlin di Farasi Flani: una buona cinematografia documentaria che miscela la musica all'intrattenimento cinematografico, vero e proprio manifesto della libertà di espressione contro la cosiddetta gentrification che ci vuole tutti uguali.
Voto: 7/10

Kenya, Nairobi: Upendo Hero, un uomo dalla testa a cuore, si è finalmente liberato dalla prigionia che l’aveva costretto all’interno di un centro commerciale per ben 37 anni. Paladino dell’amore, della libertà e degli spazi pubblici, il supereroe decide di avviare un progetto singolare. Insieme ad un piccolo gruppo di musicisti del luogo decide di partire verso la capitale tedesca, Berlino, diffondendo non solo il suo messaggio d’amore, ma dando l’opportunità ai suoi soldati dell’amore di cooperare con le realtà artistiche del luogo, cercando di salvare o di aiutarle a difendersi dal tentacolare mondo della gentrification, l’azione secondo la quale alcuni luoghi vengono prelevati e trasformati in habitat adatti a gentiluomini che scacciano i “selvaggi”. Inizia così un’avventura poliglotta al centro dell’Europa, mettendo sempre l’accento sul bisogno della presenza di luoghi in cui sia possibile comunicare attraverso la propria individualità e il proprio senso dell’arte.

“Il nostro obiettivo finale è condividere l’amore” sono le parole che Upendo Hero (“L’eroe dell’amore”) rivolge ai suoi militanti, in una Berlino di periferia, lontana dai simboli topografici che, negli anni, ne hanno sancito la riconoscibilità collettiva. Con il suo corpo longilineo e la testa che finisce a forma di un immenso cuore rosso, Upendo Hero è una sorta di militante pacifico che, nel documentario Twende Berlin, pone l’accento sulla contemporaneità, sempre più inglobata dalla sete del progresso e dell’avidità, a svantaggio di qualsiasi tipo di interazione artistica. “La nostra arma più potente è la nostra voce” proclama Upendo, dando così la possibilità al suo gruppo di fedelissimi provenienti dal Kenya di dar voce a tutti gli scontenti delle sottoculture artistiche. Non a caso una delle frasi più sentite e che più rimangono impresse nella mente dello spettatore recita: “Noi combattiamo insieme, da artisti“.

Vero e proprio manifesto della libertà di espressione contro la cosiddetta gentrification che ci vuole tutti uguali, Twende Berlin è un documentario sui generis, che al suo bagaglio di denuncia e informazione aggiunge un aspetto più accattivante, grazie ad esempio ai continui numeri musicali che si alternano sullo schermo e che raccontano, insieme alle immagini, il viaggio dei protagonisti in un turbinio di colori e culture. La denuncia di un disagio diffuso non avviene tramite poderosi attacchi al potere, ma con l’eleganza e la calma di un gruppo di individualità artistiche che si incontrano, che parlano e, infine, collaborano. E’ il caso, ad esempio, della prima missione che Upendo affida ai suoi soldati. Si tratta della missione di Techeles, spazio ricavato dopo la caduta del muro di Berlino che, per vent’anni, ha ospitato un centro d’arte. Uno spazio che, a seguito dell’acquisto da parte di una banca, rischia di chiudere e, dunque, di non essere più un rifugio per tutti gli artisti non solo tedeschi, ma anche di provenienza internazionale.

Come Telaches, sono tante le realtà artistiche bisognose di uno spazio pubblico che vengono trattate in Twende Berlin (letteralmente, Andiamo a Berlino), sotto la regia fisica e morale di Upendo Hero, il Dottor Farasi, con la guida spirituale di Sandhu Baba, grazie al supporto dell’Urban Mirror Production. Un documentario che miscela la musica all’intrattenimento cinematografico, senza dimenticare il messaggio attuale di fondo. Ottanta minuti di buona cinematografia documentaria che arriva in Italia grazie al lavoro di Manhattan Film.

Valutazione di Erika Pomella: 7 su 10
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