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Recensione Tutto tutto niente niente con Antonio Albanese

Recensione della commedia italiana Tutto tutto niente niente diretta da Giulio Manfredonia con protagonisti i mille volti della politica di Antonio Albanese. Un plauso al regista per aver parlato della vergognosa situazione politica italiana con un tono ironico e scanzonato.

Tutto Tutto Niente Niente arriva a poco più di un anno di distanza da Qualunquemente – pellicola che aveva portato Cetto La Qualunque sul grande schermo. Giulio Manfredonia confeziona un sequel pronto per sfidare il box office delle festività natalizie, usando il volto di Antonio Albanese e di alcuni dei suoi personaggi più riusciti per tentare una critica in chiave comica alla situazione politica che l’Italia si trova ad affrontare in questo preciso momento storico, e che è già stata oggetto di letture sarcastiche in film come Viva l’Italia o interventi più forti e seri come Diaz

Tutto Tutto Niente Niente è una pellicola che non cela il suo volersi indirizzare ad un pubblico che, seppur vasto, è molto preciso: quello dei fan del comico, affamati di nuovi sketch del suo repertorio. Ecco allora che a Cetto La Qualunque viene spalleggiato da altri due personaggi con le sembianze di Albanese. Il primo, Rodolfo Favaretto, è un estremista del Nord, che sogna un Italia in piena secessione e che per fronteggiare la crisi commercia in immigrati clandestini. Il secondo, Frengo Stoppato (che il grande pubblico aveva già conosciuto grazie alla trasmissione Mai dire Gol), che sogna di riformare la Chiesa Cattolica ed essere il primo ad essere proclamato Beato in vita, è un latitante che è costretto a tornare in Italia per colpa di un imbroglio di sua madre (una divertente Lunetta Savino), Cosa lega questi tre personaggi, inconsapevoli l’uno dell’altro? E’ la politica, o quello che rimane. I tre, infatti, sono stati scelti per entrare in Parlamento e portare avanti determinati ideali politici. Il risultato è una girandola di situazioni assurde, spesso paradossali, se non proprio surreali che si ritorcono contro il terribile Sottosegretario (Fabrizio Bentivoglio) che, dopo aver corrotto per bene i nuovi esponenti della Repubblica, scopre troppo tardi di trovarsi davanti tre mine pronte ad esplodere. 

Tutto tutto niente niente è un film che tenta di riproporre la forma di successo del primo episodio: la miscela, tuttavia, è molto meno esplosiva di quanto si potesse sperare. La sceneggiatura dello stesso Albanese e di Piero Guerrera, a cui hanno collaborato Giulio Manfredonia, Andrea Salerno ed Enzo Santin odora di situazioni stantie e già viste, che non fanno ridere quasi mai. Se i fans di Cetto La Qualunque saranno comunque molto felici di ritrovare il loro sgangherato eroe; e forse è proprio questo il difetto della pellicola di Manfredonia. Quello, cioè, di non riuscire a parlare ad una platea più vasta e variegata, nonostante i divertenti camei di Lunetta Savino e di uno spassoso (quanto, al tempo stesso, inquietante) Paolo Villaggio nei panni del Presidente del Consiglio.

La scelta di creare un racconto ad episodi intrecciati – come nella migliore tradizione della commedia nostrana anni ’70 – sembra ritorcersi proprio contro il suo interprete, che sembra fiacco nel presentare il ritratto di tre personaggi che sembrano essere uscite dalle cronache italiane. Perché se è vero che il film è scialbo proprio lì dove dovrebbe far ridere sguaiatamente, al contempo non si può negare a Manfredonia il plauso per aver tentato di parlare della vergognosa situazione politica del Bel Paese con quel tono scanzonato ma profondamente rassegnato che, pur con le giuste precauzioni, può essere paragonato a tutto il filone dei film della commedia all’italiana.

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