Recensione: No – I giorni dell’arcobaleno
Recensione del film No - I giorni dell'arcobaleno di Pablo Larraín: la politica vista attraverso il confronto generazionale esemplificato di una famiglia. Film originale nel panorama cinematografico attuale.
di Matilde Capozio / 07.05.2013 Voto: 7/10
Candidato cileno agli ultimi Oscar nella categoria del miglior film straniero, No -I giorni dell'arcobaleno arriva ora nelle nostre sale dopo esser stato presentato alla scorsa edizione del Festival di Cannes, vincendo la sezione Quinzaine des Rèalisateurs.
Diretto dal regista Pablo Larraìn ispirandosi all'opera teatrale The Referendum di Antonio Skarmeta, il film ricostruisce ciò che avvenne in Cile nel 1988. Il dittatore militare Augusto Pinochet è costretto ad affidare la propria sorte politica a un referendum: barrando SI o No sulla scheda, il popolo verrà chiamato a decidere se Pinochet potrà restare al potere per altri otto anni. Per tutta la durata della campagna elettorale, in televisione verranno quotidianamente trasmessi spot pubblicitari, di pari durata, che spingano i cittadini a votare per l'una o per l'altra opzione. I leader dell'opposizione si affidano al pubblicitario Renè Saavedra (Gael Garcìa Bernal) per ideare una campagna a favore del NO che si riveli vincente e possa liberare il paese dalla dittatura, impresa che si rivelerà attraversata da numerose difficoltà per Renè e il suo team.
Con No-I giorni dell'arcobaleno, Pablo Larraìn chiude idealmente la trilogia da lui cominciata nel 2007 con Tony Manero e proseguita con Post Mortem nel 2010; se i precedenti due film raccontavano l'origine della dittatura e il suo momento più violento, quest'ultima pellicola ne mostra la fine. La realtà raccontata nel film è quella di un Paese dove è fortemente presente un clima di violenza e oppressione, una nazione in cui i giovani sono chiamati a usare gli strumenti neoliberali a loro disposizione per offrire alla gente la scelta di un futuro diverso.
Riflessione sul rapporto fra l'ideologia e la sua propaganda, il film offre più di uno spunto per pensare a come, ancora oggi, il collegamento tra politica e pubblicità sia necessario al potere e da esso sfruttato per influenzare i cittadini cercando di intercettarne i desideri inconsci. Su cosa è fondamentale puntare per attirare il consenso popolare, un messaggio politico o un immaginario di allegria e positività? Un arcobaleno funziona perché è colorato e mette gioia o perché i suoi colori sono la rappresentazione metaforica dei diversi schieramenti politici?
Illustrando uno scuotimento delle masse che avviene grazie all'utilizzo del sistema mediatico come premessa dell'avvento del capitalismo, si fa riferimento anche all'odierna potenza del sistema economico e delle sue ripercussioni a livello socio-politico.
Il film offre anche una visione della politica attraverso il confronto generazionale esemplificato dalla famiglia stessa di Renè: egli, esponente di un ambiente ben diverso dalla persecuzione toccata ai propri genitori, diventa l'artefice di un contesto di libertà da trasmettere al futuro (il personaggio del figlio di Renè).
Esteticamente Larraìn compie la scelta di andare a restituire l'atmosfera dell'epoca girando con macchine da presa analogiche, in modo da creare un'immagine che rimandi a quella degli anni '80, fondendo alla perfezione il girato del film con i materiali d'archivio utilizzati. Da non perdere gli spot pubblicitari fedelmente riproposti, il resto del film è girato con stile scarno, quasi documentaristico, che perde un po' di ritmo in certi momenti lasciando in sospeso alcuni snodi del racconto, ma si pone con una sua originalità nel panorama cinematografico attuale.