Les Miserables
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Recensione Les Misérables di Tom Hooper


Recensione del film Les Misérables di Tom Hooper che porta sul grande schermo uno dei musical più famosi al mondo con un cast eccezionale: Hugh Jackman, Russell Crowe, Anne Hathaway. Un film meraviglioso.
Voto: 9/10

Les Misérables è uno dei musical più replicati al mondo, con una media di 60 milioni di spettatori, arrivato ormai al suo ventottesimo anniversario di cartellone. Più di uno spettacolo teatrale, l’opera tratta dal romanzo omonimo di Victor Hugo è un inno appassionato alla vita, al desiderio adamitico che spinge l’uomo oltre i propri limiti, teso com’è verso la speranza di felicità, amore e libertà. Tematiche universali, queste, che trovano nel musical una nuova via privilegiata per arrivare ad un pubblico sempre più vasto. E’ da questi presupposti che parte il regista Tom Hooper – già premio Oscar per il meraviglioso Il discorso del Re – nel portare sul grande schermo quest’opera epica e commovente. Per farlo decide di far affidamento su un cast stellare: da Hugh Jackman, che già in passato aveva mostrato le proprie doti interpretative e canore, fino ad un sorprendente Russell Crowe, senza dimenticare la meravigliosa Anne Hathaway, già vincitrice di un Golden Globe per la sua interpretazione di Fantine, e protesa verso il successo anche nella serata degli Academy Awards.

La storia inizia nel 1815 quando il galeotto Jean Valjean (Hugh Jackman) ottiene finalmente la libertà dopo una pena durata diciannove lunghissimi anni, per il furto di un pezzo di pane. Contrario alla condanna che gli ha macchiato la dignità, Jean Valjean scappa dalle catene della libertà vigilata, rifiutandosi di piegarsi ancora una volta ad una legge che non riconosce, e che è impersonata dalla figura dell’ispettore Javert (Russell Crowe). Arrivato a Digne, l’uomo si imbatte nel cardinale Myriel (Colm Wilkinson, il primo ad aver interpretato l’eroe di Victor Hugo a Broadway e a Londra). E’ proprio il prelato a ricordare a Jean Valjean la sua natura buona e pura, tanto da spingerlo a ravvedersi e a sognare di nuovo in una vita positiva. Passano otto anni, e l’ex ladro si è nel frattempo costruito una seconda identità: adesso è il signor Madeleine, sindaco di Mondtreuil-sur-Mer e proprietario di una fabbrica. E’ in questa industria che lavora la bella Fantine (Anne Hathaway) che, a causa dell’invidia delle sue colleghe, viene buttata in mezzo alla strada e costretta a prostituirsi e a vendersi per guadagnare abbastanza soldi da inviare a sua figlia Cosette, tenuta in affido dai coniugi Thénardier (Sacha Baron Cohen e Helena Bonham Carter). Nel frattempo Javert, che da Parigi è stato trasferito nella cittadina, comincia ad avere dei sospetti sull’identità del sindaco. L’intreccio dei destini di questi personaggi porterà ad una giostra di eventi tragici e commoventi, sullo sfondo di una Francia che, dopo il furore della Rivoluzione Francese, cerca di ricostruirsi una propria identità. Si arriva così al 1832 e Cosette (Amanda Seyfried), ormai cresciuta, si innamora del ricco rivoluzionario Marius (Eddie Redmayne), a sua volta oggetto del desiderio di Eponine Thénardier (Samantha Barks). Ma la battaglia infuria e il volto di Parigi si riempie di barricare, e di speranze, mentre l’ultimo duello tra Jean Valjean e Javert viene messo in scena.

Non è mai facile trasporre sul grande schermo uno spettacolo pensato per il palco teatrale: il rischio che si corre più spesso è quello di limitarsi alla registrazione di una messa in scena statica e priva delle caratteristiche stilistiche che differenziano il mezzo cinematografico dall’ambiente teatrale. Proprio per scivolare via da questo pericolo sono molti i registi che si arrischiano in un’acrobatica messa in scena fatta di campi larghissimi, di peripezie diegetiche, come a voler mettere più spazio possibile tra la propria pellicola e la staticità delle tre pareti. Tom Hooper sceglie, al contrario, una terza via. Consapevole che la grandezza del suo lavoro risiede nella partitura musicale perfettamente resa dei suoi interpreti, il regist decide di nascondere se stesso e il proprio ego e, invece di allontanarsi dalla narrazione, decide di tuffarsi dentro ad essa, con primissimi piani che scendono sotto la pelle dei personaggi, che quasi li violentano, scivolando nelle spire dei loro dolori, dei loro desideri, delle loro paure. Hooper, in questo modo, dirige un musical che al grande afflato del tono epico alterna un’intimità quasi oscena, a volte fastidiosa, capace di arpionare l’attenzione e l’emozione del pubblico. Les Misérables è, dunque, un musical che affonda la propria bellezza proprio sul peso dei personaggi che mette in scena, che svela fino all’ultimo poro dell’anima. Nel destino alterno di Jean Valjean, nel dolore umiliante di Fantine o nell’ambiguità di Javert, Hooper riesce a dipingere il ritratto affascinante di un’umanità alla deriva che lotta per non lasciarsi travolgere dalla marea. Intorno a questi miserabili, divini e patetici al tempo stesso, si muovono città e paesaggi umidi, pieni di sangue e di liquidi umani, di cui è quasi possibile avvertire l’olezzo e la macabra seduzione. Les Misérables arriva al cuore dello spettatore come un pugno pieno di note meravigliose, una sorta di carezza diabolica, dove la felicità è sempre a portata di mano, ma non per questo disponibile per tutti; ad essere messa in scena è la vita stessa, nel suo affresco più totale e disarmante.

Una scelta, questa, che è resa possibile in Les Misérables da interpretazioni commoventi e spettacolari. Se, come si diceva, Hugh Jackman aveva già in passato confermato le proprie doti, a sorprendere più di tutti è un luciferino Russell Crowe. Un servo della legge dagli occhi glaciali, nato dalla strada e adottato dal protocollo, che si vede sconfitto da una sorta di alter-ego che gli mostra, suo malgrado, come avrebbe potuto essere la sua vita. L’attore australiano regala al pubblico la migliore interpretazione di sempre, adagiata su assoli colmi di malinconia e affacciati sul profilo cupo di Notre Dame de Paris. Inutile soffermarsi ulteriormente sulle ottime (ottime!) interpretazioni di tutto il cast, in cui trovano spazio anche un Helena Bonham Carter e un Sacha Baron Cohen di burtoniana memoria. Un encomio va fatto al piccolo, adorabile e spavaldo Gavroche, interpretato da Daniel Huttlestone, protagonista di una delle sequenze più strazianti dei centocinquantadue minuti di racconto: due ore e mezza di magia sonora, un misto di melodie cupe e travolgenti, capaci di nascondere la speranza laddove nessuno avrebbe osato cercare. Meraviglioso.

Valutazione di Erika Pomella: 9 su 10
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