Recensione del film horror Le streghe di Salem di Rob Zombie: opera strana, sospesa, che alla paura sostituisce un serpeggiante senso di smarrimento.
Se il nome Robert Burtleh Cummings non vi dice niente, non preoccupatevi; il leader del gruppo White Zombie è conosciuto dalla grande platea cinematografica con il suo nome d'arte, Rob Zombie. Lontani i fasti violentissimi del dittico d'esordio La casa dei mille corpi e la casa del diavolo, il regista di Halloween – The Beginning porta al cinema una storia che ha diviso il pubblico di Toronto e di Torino, dove Le Streghe di Salem è stato presentato in anteprima. Perchè con questo film Rob Zombie ha deciso di cambiare marcia e registro, reinventando se stesso e, in quale modo, la propria concezione non solo del genere horror, ma anche delle proprie tematiche.
Infatti, se è vero che nei suoi precedenti lavori, Zombie trovava sempre il modo di parlare della famiglia – anche come fulcro generante di situazioni disturbanti o di cadute psicologiche – ne Le Streghe di Salem il sentimento che si avverte con più forza è la mancanza della famiglia nel senso stretto del termine; sembra piuttosto che il regista voglia allargare il suo discorso agli Stati Uniti d'America in generale, intesi come unica entità astratta e concreta al tempo stesso, una sorta di paradosso storico che costituisce un'eccezione più unica che rara. Non è un caso, dunque, che per il suo lungometraggio Rob Zombie decida di prendere spunto da una delle leggente più iconograficamente riconoscibile della storia americana. I processi che si fecero a Salem nel 1692 contro la stregonerie – con il numero più alto di vittime sacrificate al demone dell'ignoranza – danno il via al racconto di Le streghe di Salem.
L'anno è il 1692 e nella cittadina americana sette donne vengono condannate a morte per il reato di stregoneria. Una delle condannate, tuttavia, trova il tempo di gettare contro la città una maledizione, promettendo il ritorno di Satana e dei signori di Salem. Anni dopo, ai giorni nostri, Heidi (Sheri Moon Zombie), una giovane dj con problemi di tossicodipendenza, si imbatte in un vinile molto strano. Esso, infatti, non solo suona al contrario (come nella miglior tradizione satanista), ma ha il potere di risvegliare nella ragazza immagini confuse e di difficile comprensione. Heide non lo sa ancora, ma quello sarà solo l'inizio di un viaggio attraverso l'orrore e la magia.
Si diceva più sopra che la pellicola ha avuto il potere – che hanno solo i grandi sforzi creativi – di dividere il pubblico, tra gli entusiasti e gli annoiati. Il motivo di questa spaccatura è forse facilmente intuibile, dopo la visione del film. Rob Zombie sembra rinunciare all'azione nuda e cruda, alle volute cremisi di violenza inaudita, a favore di un racconto orrorifico che passa soprattutto attraverso ampie pause, lunghi silenzi ed immagini di rarefatta perfezione. In questo senso non è sbagliato ammettere che Le streghe di Salem più che un horror vero e proprio è uno di quegli horror d'atmosfera che spopolavano nella produzione cinematografica degli anni a cavallo tra i '60 e i '70. Lo spettatore, infatti, se anche non si spaventa, non può fare a meno di sentire un disagio interiore e un disturbo crescente durante la ricezione di un film sospeso tra orrore e schizofrenia. Perchè, chi ce lo dice che quello che vediamo non è che lo spettro della psiche disturbata di una donna che ha fatto uso (e abuso) di sostanze stupefacenti? Le Streghe di Salem è una pellicola che si poggia, quasi con crudeltà, sulla sua protagonista; è in realtà un viaggio allucinante e allucinato all'interno della mente di Heidi. Nessuno di noi può avere la conferma che i signori di Salem venuti a chiedere vendetta non siano altro che le proiezioni di una mente disturbata. In questo senso il film di Rob Zombie somiglia – in questo schema narrativo sospeso a metà – a film come Rosemary's Baby o L'inquilino del terzo piano.
Per riuscire a trasmettere tutte queste emozioni di disagio e stordimento in Le streghe di Salem, Rob Zombie si affida essenzialmente su due strumenti. Il primo è la precisione della costruzione delle inquadrature. Le immagini sono tutte curate sin nei minimi particolari, con cadute – decisamente volontarie – verso il grottesco e il kitch, in cui lo spettatore può scivolare con un senso di straniamento. Perchè le immagini che richiamano la verosimiglianza presentano sempre elementi di disturbo, piccoli oggetti o segni iconografici che spiazzano. L'altro elemento – forse il più importante – è rappresentato dall'uso mastodontico e professionale della musica. Heidi, che è una dj, si muove sotto le mani sapienti del regista – a sua volta musicista – che la fa parlare attraverso le note della musica alternativa di cui Heidi è appassionata, e che ne rispecchia in modo speculare il disturbo interiore.
In questo viaggio privo di qualsivoglia punto di riferimento, adagiato su note stridenti ma coinvolgente, Rob Zombie si diverte nel confezionare un film che non somiglia a nessun altro. Il risultato è Le streghe di Salem: un'opera strana, sospesa anch'essa, che alla paura sostituisce un serpeggiante senso di smarrimento. Consigliato.
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