Recensione del film Il comandante e la cicogna di Silvio Soldini con Valerio Mastandrea, Alba Rohrwacher, Giuseppe Battiston, Claudia Gerini. Riesce a divertire e strappare più di un sorriso, anche nel suo tendere sempre a polemiche alle realtà più disastrate del paese.
Arriva al cinema Il comandante e la cicogna, il nuovo film di Silvio Soldini che, a otto anni di distanza da Agatha e la tempesta, torna a lavorare nel campo della commedia, dopo le digressioni drammatiche degli ultimi anni Giorni e Nuvole e Cosa Voglio di più. Scritto da Doriana Leondeff, sceneggiatrice che da più di diciassette anni collabora con il regista, e da Marco Pettenello, il film si serve di toni surreali e quasi fiabeschi per descrivere, con un sorriso sul volto, non solo il momento difficile in cui perversa oggigiorno il nostro paese, ma anche la tragedia che sembra ammantare la vita dell'essere umano.
Leone (Valerio Mastandrea) è un idraulico che tenta di ricoprire in modo dignitoso il suo ruolo di genitore. Sua moglie Teresa (Claudia Gerini) è un'entità evanescente, che appare e scompare a suo piacimento, specialmente intorno alle quattro del mattino. Elia è un bambino fissato con gli uccelli, che ha "adottato" una cicogna ribattezzata Agostina. Sua sorella Magda, invece, è un adolescente alle prese con le prime delusioni amorose. Diana (Alba Rohrwacher) è un'artista d'arte contemporanea che, per racimolare i soldi che deve al suo padrone di casa Amanzio (Giuseppe Battiston), accetta di dipingere un arazzo per l'avvocato Malaffano (Luca Zingaretti). Mentre le storie di questi personaggi si intrecciano e si fondono, alcuni testimoni d'eccezioni fanno la guardia sui loro destini: le statue di Garibaldi (Pierfrancesco Favino) e Leopardi (Neri Marcorè) sono pronte a prendere nota di tutto quanto non funziona più nel paese che hanno contribuito a rendere grande.
Testimoni di pietra, immobili nella loro fissità, sorgono agli angoli di ogni strada di ogni città italiana, come album di memoria di un passato che ormai sembra essere fatto solo di astratte definizioni. Garibaldi, Leonardo Da Vinci, Giacomo Leopardi ormai sono solo nomi che si rincorrono sui libri di storia, che quasi sembrano appartenere alla dimensione della favola. E proprio alla favola Soldini strizza l'occhio, in questo suo ultimo film, dove si muovono statue parlanti e defunti in costume. La realtà non fa parte del mondo che caratterizza Il comandante e la cicogna, ma non ne è neanche completamente al di fuori. Dimensione di mezzo, la diegesi che Soldini costruisce, con inquadrature che spesso vanno a stringere sui volti dei suoi protagonisti, è un mondo dove speranze e disillusioni si inseguono, dove la crisi che ha messo in ginocchio l'Italia trova posto accanto alla spedizione di un ragazzino che parte per salvare la cicogna a cui tanto vuol bene. Le opere d'arte di Alba Rohrwacher affiancano la presa di coscienza di un Valerio Mastandrea che, strizzando l'occhio al protagonista della serie americana Go on, si vede impossibilitato ad andare avanti, inseguito com'è dal fantasma della moglie defunta.
Questo universo senza regole e senza limiti umanamente riconosciuti riesce ad alzarsi di livello grazie alle buone interpretazioni del cast; gli attori sono tutti costretti a recitare con una cadenza che non gli appartiene. Ecco allora che Mastandrea si riscopre napoletano, mentre la Gerini si improvvisa genovese, riuscendo sempre ad apparire molto credibili. Specie per l'attore romano, ci si trova davanti a personaggi che, pur nella loro caratterizzazione stereotipata in più punti, riescono a diversificarsi per quel continuo scendere di nuovo nel mondo della non-definizione, dove vita e morte hanno confini labili, e dove la corruzione passa per il desiderio irresistibile di salvare la propria figlia.
Nonostante tutto ciò non si può non sottolineare la caratteristica più comedy del film, che riesce a divertire e a strappare più di un sorriso, anche nel suo tendere sempre a polemiche – per quanto facile sia muoverle – alle realtà più disastrate del paese: la corruzione, i prestanome, le idee federaliste della Lega. In tutto questo riescono a trovare posto anche scene tragicomiche, come quella in cui due genitori discendenti di una vita più rurale e meno complicata, si umiliano e si prostrano ai piedi di un incredulo Mastandrea per evitare una denuncia che li porterebbe ad un passo dall'inferno. Una scena che fa sorridere, ma che al tempo stesso rimane sospesa nella coscienza dello spettatore, creando una sorta di vuoto che infastidisce e fa pensare, che pone la luce sulla realtà contemporanea in cui per il benessere di pochi, molti vedono la propria vita cadere in pezzi e distruggersi.
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