Rapito, scena da trailer film di Marco Bellocchio in Concorso a Cannes 2023
Rapito, scena da trailer film di Marco Bellocchio in Concorso a Cannes 2023

Rapito, recensione del film di Marco Bellocchio


Marco Bellocchio aggiunge un altro importante tassello alla sua filmografia raccontando della tragica sottrazione alla famiglia Mortara del piccolo Edgardo per volontà dello Stato Pontificio.
Voto: 7/10

A solo un anno di distanza dalla serie televisiva/film Esterno Notte, in contemporanea con la presentazione al festival di Cannes, Marco Bellocchio torna nelle sale con Rapito, di cui vi proponiamo la recensione. Bellocchio, regista con ormai quasi sessant’anni di carriera alle spalle nell’ultimo ventennio, ha saputo rinnovare con estrema potenza espressiva e concettuale le forme del suo stesso cinema, arrivando ad abbracciare un pubblico più ampio che lo aveva sempre eluso, bilanciando autorialità e accessibilità. Altro fattore che inevitabilmente accomuna molti dei suoi ultimi film più recenti è il confronto con la Storia, raccontata da Bellocchio attraverso una lettura psicoanalitica, politica, spirituale e soprattutto intima di coloro che ne sono stati protagonisti.

Rapito si inserisce con coerenza all’interno di questo percorso. Infatti, il film si concentra su un fatto di cronaca accaduto realmente a Bologna nel 1858: la sottrazione alla famiglia ebrea Mortara del piccolo Edgardo (interpretato da Enea Sala), all’età di sette anni, da parte delle autorità clericali dello Stato Pontificio. Battezzato in segreto dalla domestica cristiana Anna Morisi (Aurora Camatti) secondo la legge ecclesiastica di quel tempo quando aveva sei mesi, il bambino viene obbligato ad una educazione cristiana e né lui né la famiglia hanno il potere di interferire con questa decisione. Edgardo viene condotto a Roma e lo stesso Papa Pio IX decide di occuparsi della sua educazione e del suo indottrinamento, mentre la famiglia non riesce a strapparlo dalle mani del pontefice, nonostante battaglie legali e il clamore mediatico della vicenda anche nel resto d’Europa.

Bellocchio dimostra la sua compiuta e mai manierista maturità registica caricando il film di un immaginario simbolico e iconografico che unisce spiritualità, richiami di progressiva secolarizzazione e anticlericalismo. Indimenticabile la scena onirica in cui il piccolo Edgardo rimuove i chiodi al Gesù crocifisso, il quale prende vita e abbandona silenziosamente la Chiesa. Risulta difficile attaccare un’idea di Cinema così rigorosa, e soprattutto coraggiosa, che in molti azzardatamente e a torto hanno definito kitsch. Di grande originalità anche la scena del processo a Pier Feletti (Fabrizio Gifuni), raccontata con montaggio alternato tra la deposizione del padre di Edgardo, un ottimo Fausto Russo Alesi, e la somministrazione in segreto del battesimo a Edgardo.

Leonardo Maltese in Rapito di Marco Bellocchio - foto dal set [credit: Anna Camerlingo; courtesy of Ufficio Stampa film]
Leonardo Maltese in Rapito di Marco Bellocchio - foto dal set [credit: Anna Camerlingo; courtesy of Ufficio Stampa film]

Un film altalenante ma preciso nella sua condanna all’istituzione cattolica

Il film, nonostante presenti delle scene costruite con grande efficacia, è appesantito da una farraginosa prima parte che, per quanto cerchi di sviluppare il racconto attraverso una presentazione fedele degli eventi in ordine cronologico, dal rapimento fino all’arrivo di Edgardo a Roma, risulta statica e purtroppo priva di quel pathos che il film vorrebbe catturare. Bellocchio, ancorato al bisogno del racconto del contesto storico e della vicenda cronachistica del rapimento, allontana Rapito dalle sue virtù indagatrici dell’animo dei personaggi verso un didascalismo a tratti poco efficace per quanto corrispondente a ciò che davvero accadde. Le scene più interessanti, concentrate nella seconda parte del film, riguardano proprio il rapporto conflittuale di Edgardo con il Papa – interpretato da Paolo Pierobon che conferisce al personaggio autorità e viscidità attraverso un controllo dei registri drammatici e grotteschi davvero magistrale – e con la madre – una bravissima ed espressiva Barbara Ronchi – due punti di riferimento assoluti che non riuscirà mai a far conciliare dentro di sé. Purtroppo, nonostante la bravura degli interpreti, alcuni personaggi come il padre di Edgardo e il fratello maggiore Riccardo risultano monodimensionali e funzionali solo alle conseguenze del rapimento e avrebbero beneficiato di una caratterizzazione più variegata. Nonostante questi difetti, Rapito conserva intatto dall’inizio alla fine il suo carattere critico e anti-istituzionale nel raccontare il potere della Chiesa cattolica di quegli anni, esplodendo nella parte finale del film in una scena di violento accanimento che vede coinvolti Edgardo e un gruppo di anticlericali nel tentativo di gettare la salma di Pio IX nel Tevere.

Interessante e riuscitissimo il lavoro fatto con luci naturali da Francesco Di Giacomo, anche direttore della fotografia in Esterno Notte, che conferiscono a Rapito un valore pittorico specialmente in alcune scene notturne e in interni. La colonna sonora, che ha fatto storcere il naso a parte della critica, trova invece la sua originalità nel discostarsi da molti lavori contemporanei e quindi nel suo stesso anacronismo, donando al film quell’impeto di cui a volte la narrazione manca.

Rapito, a causa di alcune criticità già evidenziate nella recensione non raggiunge la compiutezza di film come Il Traditore (a parere di chi scrive uno dei capolavori del cinema italiano recente) ma è un capitolo che consolida ancora di più l’incredibile filmografia di Marco Bellocchio e conferma ancora una volta il profondo stato di salute del suo cinema.

Valutazione di Matteo Borgia: 7 su 10
Rapito
Impostazioni privacy