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Quello che non so di lei, recensione del film

Roman Polanski è tornato alla grande con il suo nuovo film: 'Quello che non so di lei'. Due donne, diverse ma complementari, e le pagine bianche di un libro da scrivere. La storia giusta che tarda ad arrivare e il tutto condito da un'appetitosa dose di ambiguità e incertezza; sono tutti gli ingredienti di questo bel thriller psicologico in questi giorni al cinema.

Intrigante. Se c'è un aggettivo che calzi a pennello al nuovo film firmato Roman Polanski "Quello che non so di lei", è esattamente questo. Intrigante fin dalla prima scena, che già lascia presagire il dubbio e insieme la suspense, tanto cari al regista.

Protagoniste assolute della pellicola sono due donne molto diverse tra loro: Delphine, acclamata scrittrice di best sellers di successo, e Leila, affascinante e misteriosa donna, che compare dal nulla nella vita di Delphine, la quale trascorreva fino a quel momento un'esistenza abitudinaria e poco stimolante, fino ad arrivare a impossessarsene quasi del tutto. Tanto insicura e fragile la prima, una matura Emmanuelle Seigner perfetta per questo ruolo, quanto sicura e dominante la seconda, una sempre affascinante e magnetica Eva Green -a tratti inquietante- la cui storia è avvolta nel mistero. Tutti si aspettano da Delphine che il suo secondo libro sia all'altezza del primo, molto personale, che ha scritto mettendosi a nudo e attirando su di sè minacciose ritorsioni accusata di aver strumentalizzato la sua storia familiare. Ma, si sa, non è tutto oro ciò che luccica, e di fronte ad aspettative tanto alte, Delphine si trova a fare i conti con un ostile blocco della creatività da foglio bianco, che le impedisce di iniziare a mettere nero su bianco i suoi pensieri, che raccoglie in alcuni taccuini che porta sempre in giro con sè. Proprio per questo, l'apparentemente innocua spalla che le offre Leila, tanto stimolante e protettiva nei suoi confronti, sembra manna dal cielo agli occhi della scrittrice, che non può fare a meno di esserne attratta magneticamente. Ben presto però, il rapporto tra le due donne prende una piega morbosa e Leila, facendo leva sulle sue fragilità, trascina Delphine alla deriva e in un isolamento sempre più pericoloso per la sua salute fisica e mentale.

Eppure quella di Leila sembra essere proprio la storia di cui Delphine ha bisogno per il suo nuovo libro, quella che tanto cercava.. ma a che prezzo? Chi è veramente Leila e cosa vuole da Delphine? Riuscirà quest'ultima a riprendere in mano la sua vita e a scongiurare il peggio prima che sia troppo tardi?

é un vero e proprio thriller psicologico questo nuovo film di Polanski, che ha messo in scena fedelmente il romanzo di Delphine de Vigan, senza discostarsene minimamente, come lui stesso sottolinea, memore della delusione che viveva puntualmente da piccolo quando non ritrovava sul grande schermo gli stessi personaggi a cui si era affezionato nei libro. E gli elementi cari al genere psicologico ci sono tutti: la suspense, la manipolazione, il dominio e l'isolamento, che la fanno da padrone nel rapporto ambiguo e morboso tra le due donne in un crescendo di tensione e suspense.

Il regista riesce a raggiungere il risultato sperato: fino alla fine lo spettatore sarà in bilico in un gioco di specchi tra il reale e l'immaginario, tra ghost writer e non, in cui non si è più in grado di distinguere cosa accade realmente e cosa no, vivendo costantemente una sensazione generale di dubbio, incertezza e sospetto. La stessa ambiguità che gli richiama alla memoria gli spettacoli di marionette a cui assisteva durante la sua infanzia, quando si resta lì impalati davanti la scena provando un misto di felicità, paura e incertezza, prima che l'arcano si svelasse.

Dunque, Polanski non ha bisogno di inutili spargimenti di sangue, pistolate, inseguimenti o futili amplessi per tenere incollato lo spettore fino all'ultima scena del film. Certamente gran merito va inoltre riconosciuto alla bravura delle attrici, che indossano perfettamente i panni dei loro personaggi, conferendogli la giusta credibilità e spessore psicologico, complici anche le ambientazioni suggestive rese adeguatamente claustofobiche con la maestrìa tipica del regista, che danno valore aggiunto al film, di cui ne consiglio la visione.

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