Pieta: la recensione
Recensione del film Pieta, diciottesima opera diretta da Ki-duk Kim nella Corea del Sud in concorso al Festival del Cinema di Venezia 2012. Nel cast anche Jo Min-Su.
di Giorgia Tropiano / 08.09.2012 Voto: 8/10
Pieta è il diciottesimo film di Ki-duk Kim, è lo stesso regista koreano a volerlo sottolineare ad inizio film, perché ritiene che oggi sia così difficile girare film non commerciali, è quindi giusto contarli. Porta questa sua nuova opera in laguna e subito conquista tutti, pubblico e critica, d’altronde Kim è un veterano di Venezia, aveva creato scandalo più di dieci anni fa con L’isola e ha vinto il Leone d’argento quattro anni dopo con lo splendido Ferro 3. Ora torna e lo fa dopo un peridio di assenza dal cinema (quello di fiction) causa depressione e crisi artistica, durante il quale sforna l’autobiografico documentario Arirang, nel quale filma se stesso mentre vive in una tenda, lontano dal mondo, dopo aver lasciato il cinema perché una sua attrice su set di Dream ha rischiato di perdere la vita, la pellicola vince Un Certain Regard a Cannes.
Kang-do è un ragazzo solo che lavora per uno strozzino e ha il compito di riscuotere le somme dovute con gli interessi dai clienti. I suoi metodi però sono del tutto folli: mutila le vittime per poter riscuotere da loro i soldi dell’assicurazione, sono tutti lavoratori che senza gli arti non possono più guadagnarsi da vivere, in questo modo Kang-do è come se li uccidesse. Un giorno però dal nulla si presenta al ragazzo una donna che afferma di essere sua madre, di averlo abbandonato alla nascita perché impaurita e ora chiede di essere perdonata. Kang-do non le crede e la sottopone a orribili prove, poi pian piano inizia a fidarsi di lei e questo lo porta in una posizione di difesa: ora ha un punto debole e i suoi nemici possono usarlo contro di lui, diventa improvvisamente vulnerabile.
Il cinema di Ki-duk Kim è poesia, è fatto di silenzi che parlano, di immagini che raccontano, di potenza visiva e di forti emozioni, Pieta non è da meno. Un solo sguardo riesce a trasmettere un’enormità di significati, un solo gesto vale più di quelle tante parole di cui troppo spesso si abusa al cinema, perché non ci si ricorda mai che la settima arte vive prima di tutto di immagini, è di queste che si nutre, sono queste che rimangono impresse nella mente di tutti. Kim lo sa e ne sfrutta al massimo le potenzialità, la sequenza finale della pellicola ne è l’esempio perfetto, zero parole, potenza visiva immensa. Così come la locandina, con quel richiamo diretto all’arte, che immerge subito lo spettatore all’interno dell’atmosfera del film.
Il film parla di dolore, risentimento, rabbia ma anche di comprensione, amore, pietà. Ma soprattutto mette in scena la vendetta, in tutte le sue forme, quelle più crudeli, quelle più istintive e quelle studiate, immaginate e fortemente volute. La vendetta è un piatto che va servito freddo dice un vecchio proverbio, Tarantino ce lo ha mostrato per bene, ora tocca a Ki-duk Kim, anche se quella di Pieta è una vendetta più sofferta, piena di pietà. L’immagine della vendetta è intrepretata da una straordinaria Jo Min-Su, la cui bravura va oltre ogni immaginario.