Pandorum – L’universo parallelo: la recensione
Recensione del film Pandorum - L'universo parallelo (2009) diretto da Christian Alvart e con protagonisti Ben Foster, Dennis Quaid, Cam Gigandet, Antje Traue, Cung Le, Eddie Rouse.
di Redazione / 09.08.2010
Recensione del film azione e horror “Pandorum – L’universo parallelo“. In Italia l’ uscita è per il 06 agosto 2010.
Fantascienza paranoica e claustrofobica, (post) apocalittica, con qualche ambizione filosofica (parolone…) più o meno celata e venature orrorifiche: un filone piuttosto ampio e prolifico del cinema di genere americano e non, nel quale Pandorum si va ad iscrivere nella maniera più piena.
Ma più che dalle parti di Alien – che si tratti di quello originale di Scott o di uno qualsiasi dei suoi successori – siamo da quelle di Punto di non ritorno di Paul W.S. Anderson: per volontà di tenere i piedi ben piantati nella serie B, per manico registico, per influenze e suggestioni.
Lontano da qualsiasi forma di originalità nei suoi spunti di sceneggiatura, il film diretto da Christian Alvart si aggrappa con presa forte a dinamiche di messa in scena sicure e collaudate, teutonicamente algide e squadrate, dove ogni forma di ammiccamento e ironia è bandita, ma di comprovata affidabilità.
Qualcuno definirebbe quello di Alvart un “lavoro onesto”, che è cosciente dei modelli cui si rifà, dei suoi punti forti e dei suoi limiti, come dell’inarrivabilità dei livelli di tensione e paura di quel The Descent che viene implicitamente citato: e da un punto di vista di puro intrattenimento, i risultati che si portano a casa sono anche discreti.
In questo quadro, Ben Foster si muove con la nervosa abilità che oramai gli viene riconosciuta, Dennis Quaid è al contrario si muove con rigido e rugginoso mestiere e la semisconosciuta Antje Traue si fa notare per l’atletismo e per i fari blu che si ritrova al posto degli occhi.
Nel complesso, però, Pandorum non si libera mai del tutto dall’amaro retrogusto dell’occasione almeno parzialmente sprecata: non tanto per qualche calo nel ritmo o per qualche situazione lievemente farraginosa del finale, quanto per la faciloneria un po’ supponente con la quale si vuole moralizzare sulla natura invariabilmente autodistruttiva e cannibale della specie umana, offrendo poi una facile e scontata via d’uscita nel segno di una rinascita travagliata: di una quasi morte interiore che si trasforma in nuovo parto collettivo nemmeno troppo metaforico e figurato.
In questo modo, il film rimane un po’ incerto, seriosamente e rigidamente sospeso tra due diverse e non necessariamente contrapposte concezioni della cosiddetta serie B.
Fonte: ComingSoon.it – di Federico Gironi.