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Oh Boy-Un caffè a Berlino

L'odissea di un giovane alla ricerca di un caffè per le strade di Berlino tra malinconia, dubbi e incontri particolari. Un interessante esordio in bianco e nero, dal sapore rétro, ma con autoironia.

Acclamato in patria, dove ha vinto 6 premi Lola all'ultimo German Film Prize, gli Oscar tedeschi, arriva ora nelle nostre sale Oh boy-Un caffè a Berlino, esordio nel lungometraggio di Jan Ole Gerster, già assistente alla regia di Goodbye, Lenin!, e autore di varie sceneggiature e documentari.

Il film è la tragicomica cronaca di 24 ore nella vita di Niko Fischer, giovane berlinese colto in quella che all'apparenza sembra una giornata come tante, ma che si rivela invece ricca di avvenimenti e incontri singolari, fino alla conquista di una sospirata tazza di caffè.

Oh boy diventa così il diario del protagonista, un giovane che come tanti coetanei è in cerca del proprio posto nel mondo; mentre si ritrova coinvolto in una serie di situazioni al limite del surreale, che ne accentuano il senso di estraneità rispetto al mondo che lo circonda, intorno a lui osserviamo gravitare uno spaccato di umanità quantomeno bizzarro: Niko diventa così involontario confidente di estranei, testimone dei loro malesseri esistenziali.

Con stile scarno, girato in un bianco e nero dal sapore rètro con alcuni rimandi stilistici al cinema francese della Nouvelle Vague, il film ha una dimensione quasi senza tempo mentre ritrae una Berlino frenetica, animata dai suoi fermenti creativi ma ancora indissolubilmente legata al passato: uno spettro su cui si ironizza nel riferimento ai film che trattano della Seconda Guerra Mondiale, ma anche dolorosa memoria impressa nelle generazioni più anziane (l'ultimo incontro al bar, forse l'unica sequenza che rischia lo scivolo nella retorica). Il tono malinconico del film è accompagnato ed esaltato da una bella colonna sonora dalle atmosfere jazz, mentre sono i Beatles (il brano A day in the life) a ispirare il titolo della pellicola.

Lo spettatore segue così Niko, che ha il volto di uno straniato Tom Schilling (Le particelle elementariLa banda Baader Meinhof), con lo stesso meravigliato distacco e la stessa inquietudine, mentre si trova ad osservare le persone che lo circondano, riconoscendo in ciascuno la lotta contro i propri demoni, e uno smarrimento che va di pari passo con l'incapacità del protagonista di scegliere quale strada intraprendere.

Oh boy è in definitiva un viaggio all'interno di uno stato d'animo, di una città e dei suoi abitanti; un esperimento interessante nel panorama cinematografico, che va a recuperare certe atmosfere care a un vecchio cinema europeo, alternando sorrisi e riflessione.

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