Non aprite quella porta 3D, la recensione
Recensione del film Non aprite quella porta 3D (2013) di John Luessenhop con Alexandra Daddario: un completo disastro sotto molteplici punti di vista.
di Erika Pomella / 28.02.2013 Voto: 4/10
Nel 1974 Tobe Hooper diresse un film destinato ad entrare nella storia del cinema di genere horror: Non aprite quella porta. Al centro della vicenda c'erano le brutali misfatte di una famiglia di cannibali del Texas, capeggiati dal serial killer Leatherface, caratterizzato da una maschera di pelle umana e una motosega con cui fare a pezzi le proprie prede. A distanza di quasi quarant'anni e con circa altri sei film che seguivano la storia, arriva ora nei cinema il film Non aprite quella porta 3D, del regista John Luessenhop famoso soprattutto per il film Takers.
La pellicola prende il via esattamente dal punto in cui il primo Non aprite quella porta si concludeva: a Newt, in Texas, l'ultima preda della maledetta famiglia Sawyer riesce a scappare e a dare l'allarme. I cittadini, già da anni sospettosi della perversione dei Sawyer, decidono di scavalcare la giustizia e invece di aspettare che il responsabile venga asscirato alle forze dell'ordine decidono di dare avvio ad una sparatoria che culmina con un grande incendio della casa dei Sawyer. La folla pensa così di aver ucciso tutta la famiglia, ignara che una bambina è stata salvata dall'ira delle fiamme e portata via da una coppia impossibilitata ad avere figli.
Anni dopo Heather (Alexandra Daddario) riceve in eredità una villa da una nonna che non pensava di avere e scopre di essere stata adottata quando era ancora in fasce. Andando contro il volere dei genitori adottivi, Heather decide di recarsi in Texas, dove deve firmare delle carte per entrare in possesso del lascito. Ad accompagnarla c'è il fidanzato Ryan (Trey Songz), la migliore amica Nikki (Tania Raymonde) e il fidanzato di lei Kenny (Keram Malicki-Sánchez). Durante il viaggio verso Newt, ad una stazione di servizio, i ragazzi incontrano Darryl (Shaun Sipos), un'autostoppista fermo in mezzo alla pioggia, che gli chiede un passaggio. Arrivati alla villa, Heather incontra l'avvocato della nonna (Richard Riehle) che, insieme alle chiavi della casa, lascia alla ragazza anche una lettera in cui la defunta le ha lasciato un ultimo messaggio. Prima che la ragazza abbia il tempo di leggere le parole vergate dalla mano della nonna, però, i ragazzi devono vedersela con un altro inquilino della villa. A quanto pare, infatti, Heather non è stata l'unica a scampare all'incendio che nel 1973 distrusse la famiglia Sawyer.
Nel 1974 e per tutti gli anni a seguire Non aprite quella porta è stato una sorta di pietra miliare nella cinematografia orrorifica, tanto da riuscire a regalare a milioni di spettatori uno dei villain più inquietanti di sempre. A distanza di quasi quattro decadi – responsabili anche sequel non sempre di felice riuscita – il lascito della pellicola originale è stato usato e sfruttato per un prodotto filmico completamente fallimentare. Non aprite quella porta 3D è, infatti, un completo disastro sotto molteplici punti di vista. Già a partire dalla sceneggiatura che, nonostante lo spunto iniziale molto interessante di ricominciare proprio dal punto di rottura del primo film, si mostra lacunosa, disattenta e piena di incongruenze che fanno aggrottare la fronte dei destinatari della diegesi. Dai personaggi appena abbozzati a spunti narrativi che si dimostrano inutili allo svolgimento della trama, trattati con una superficialità quasi supponente. Così, tra storie di corna e ladruncoli da quattro soldi, tutto l'impianto drammaturgico è solo una struttura pericolante che mira a fare da sfondo alle sequenze di violenza gratuita che non si sforzano nemmeno di diversificarsi dalle sequenze della pellicola originale, che viene ricalcata senza pietà, ma senza lo stesso sentore d'originalità degli anni '70. Ecco allora che il regista ripropone le stesse scene del gancio, del freezer e dei corpi mozzati a metà. Le scene in cui si arrischia ad inventare – come quella del cimitero e quella del luna park – hanno un potenziale solido che però non viene sfruttato affatto, lasciando che il motore della motosega riempia lo schermo al posto di un qualsiasi tentativo di racconto ben fatto.
A questo si unisce una costruzione scenica che, con tutte le sue inesattezze e le scelte improbabili dei personaggi (ad un certo punto, ad esempio, Heather sembra dimenticare che l'uomo che ha davanti con una motosega ha ucciso tutti i suoi amici), finisce col risultare involontariamente e irresistibilmente comica. Il tutto, poi, è sorretto da un 3D quasi del tutto superfluo: fatta eccezione per alcune scene in cui la sega esce illusoriamente fuori dallo schermo, la tridimensionalità del film è legata solo a qualche sprazzo di profondità di campo, tanto che per la maggior parte dei 90 minuti di durata è possibile seguire il film senza occhiali per il 3D, senza che questo comporti la perdita di qualsivoglia elemento.