Neruda
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Neruda di Pablo Larraín, la recensione


Pablo Larraìn torna al cinema con Neruda, un nuovo biopic ante-litteram, un film biografico che in realtà somiglia più a un manifesto,che non si contenta di raccontare le tracce di una vita seguendone le orme cronologiche, ma decide piuttosto di concentrarsi su un evento storico preciso e reale.
Voto: 8/10

Reduce dal successo all'ultima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, dove il suo Jackie ha conquistato pubblica e critica, portandosi a casa il Leone per la miglior sceneggiatura, Pablo Larraìn torna al cinema con Neruda,  un nuovo biopic ante-litteram, un film biografico che in realtà somiglia più a un manifesto,che non si contenta di raccontare le tracce di una vita seguendone le orme cronologiche, ma decide piuttosto di concentrarsi su un evento storico preciso e reale.

L'anno è il 1948 e il poeta Pablo Neruda denuncia il suo governo, additandolo come traditore. Sarà questo l'inizio di una vera e propria missione denigratoria nei confronti del poeta cileno, che vede le sue idee politiche e personali venire distorte da un potere governativo che lo spinge all'esilio, alla continua fuga. Ad inseguire il latitante ci sarà Oscar Peluchonneau (Gael García Bernal), ispettore che ben presto vedrà il proprio lavoro tramutarsi nel sogno di un tossico, tanto profonda diventerà la sua ossessione per Neruda. Tra questi due uomini, il comunista in fuga e l'ispettore affascinato e spaventato, si snoda una storia di politica, arte e personaggi al limite della leggenda.

Presentato alla scorsa edizione del Festival di Cannes, Neruda sembra appartenere ad un filone tematico che il regista Pablo Larraìn sta intessendo con grandiosa perizia. Al centro c'è di nuovo la voglia di porsi interrogativi politici tutt'altro che banali, tutt'altro che scontati, tutt'altro che superati. Il comunismo e le idee che vengono tratteggiate nella pellicola, gli interrogativi che vengono sollevati con dialoghi al limite del geniale, risultano di un'attualità quasi disarmante. Quello che però colpisce maggiormente di questa pellicola – eccezion fatta per il cast regale che, da solo, merita il prezzo del biglietto – è quel sotterraneo senso di sentimentalità che il regista lascia serpeggiare dietro i sogni, i viaggi, i discorsi sull'arte e le speranze politiche. Se, ad esempio, di Jackie avevamo apprezzato proprio il tono freddo e in qualche modo distaccato con cui il metteur en scene ha scelto di rapportarsi alla vicenda umana di una donna e di un paese rimasti senza una guida e senza un amore, in Neruda, nel descrivere il suo amato Cile, Larraìn decide di fare entrare il proprio cuore, la propria personalità umana – oltre che quella politicamente impegnata. E questa scena si avverte in maniera quasi inconscia, non-voluta, inattesa. E il risultato è un film pieno di riflessioni, che però non rinuncia a scoppi improvvisi di risate e a un sapore dolce-amaro di felicità che sembra sempre sfuggevole.

Valutazione di Erika Pomella: 8 su 10
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