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Nancy, recensione del film di Christina Choe

Per gli amanti del cinema indipendente americano, un esordio alla regia tra dramma e thriller psicologico.

Nancy Freeman (Andrea Riseborough) è una ragazza solitaria, le cui giornate scorrono fra lavoretti temporanei, chiacchierate online con sconosciuti e la compagnia alla madre malata (Ann Dowd). Un giorno Nancy vede al telegiornale un'intervista a una coppia di coniugi (Steve Buscemi e J. Smith-Cameron) la cui figlia è scomparsa molti anni prima: Nancy contatta la coppia sostenendo di poter essere lei quella bambina, forse rapita tanto tempo fa.

Nancy è il film d'esordio della regista e sceneggiatrice Christina Choe, presentato con successo al Sundance Film Festival nel 2018, principale vetrina del cinema indie americano, di cui questo film è un perfetto esempio: impianto minimalista, zero effetti speciali, attori amati dal cinema d'autore.

È difficile incasellare Nancy in uno specifico genere cinematografico: gran parte della trama ruota attorno a un mistero da svelare, ma non si può definire un thriller in senso classico, semmai un dramma familiare su cui aleggia un'aria di ambiguità, a partire proprio dalla sua protagonista. La storia si concentra principalmente sul tema dell'identità e di come questa abbia a che fare con la ricerca del proprio posto nel mondo, a partire dai legami affettivi: si riflette sul concetto di famiglia, un nucleo generalmente basato sui rapporti di sangue ma a volte composto da persone che si scelgono, per caso o per volontà, arrivando a plasmare se stesse per adattarsi ai (presunti) desideri altrui sperando di essere accettate e amate.

Il film tocca anche l'importanza della tecnologia e dei social media, come strumenti per costruirsi una propria identità, in uno sdoppiamento fra reale e virtuale, fra illusione e verità, che finisce per estendersi a più livelli.
La regia si muove tra ambienti claustrofobici e ampi spazi aperti, entrambi a modo loro isolati, alienanti e portatori di pericolo, prediligendo anche lunghi silenzi in cui a parlare sono le immagini. Nella seconda parte arrivano momenti in cui la trama rallenta prima di una conclusione in parte prevedibile, mentre la storia lascia volutamente alcuni elementi in sospeso, preferendo puntare sui non detti e su una malinconica incertezza. Il personaggio che dà il titolo al film ha la fisionomia particolare dell'inglese Andrea Riseborough, qui irriconoscibile sotto una chioma corvina, e anche gli altri interpreti sono bravi, purtroppo un po' sprecati nel caso di Ann Dowd (la temibile zia Lydia di The Handmaid's Tale) e John Leguizamo, le cui partecipazioni sono poco più che camei.

Nancy quindi è un esordio interessante, con del potenziale che non sfrutta fino in fondo, e una struttura semplice ma non banale.

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