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Mustang, la recensione

'Mustang' è una pellicola forte, un film che disturba e che innervosisce, che impedisce al pubblico di distogliere lo sguardo; che, anzi, lo tallona da vicino, provocandolo di continuo, quasi sfidandolo a far finta di niente. Una storia dell'orrore travestita da racconto di formazione.

E' estate: la scuola è appena finita e nell'aria c'è odore di vacanza e divertimento. Dopo l'ultima lezione Lale (Gunes Sensoy) e le sue quattro sorelle si avventurano sulla spiaggia, in riva al mare, dove si mettono a giocare con alcuni compagni di scuola, maschi. Una conoscente della loro nonna, però, le vede e ritenendo il loro atteggiamento tutt'altro che consono per delle brave ragazze turche, avvisa la famiglia. Da quel momento per Lale, Ece (Elit Iscan), Nur (Doga Zeynep Doguslu), Selma (Tugba Sunguroglu) e Sonay (Ilayda Akdogan) inizia un vero e proprio incubo. Pian piano la casa diventa una vera e propria prigione e le loro figure vengono nascoste dietro abiti dai colori spenti e dalle forme vaghe; i giorni diventano un lento e continuo addestramento al ruolo di moglie e la libertà diventa una vera utopia, specie quando poi la famiglia si mette ad organizzare matrimoni per le ragazze, ignorando quasi completamente i loro desideri.

Presentato nella sezione Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma e scelto come candidato francese per concorrere alla cinquina dei migliori film stranieri ai prossimi premi Oscar, Mustang è una pellicola forte, intrepida, svergognata. Un film che chiama in causa lo spettatore; non tanto (e non solo) per spingerlo a sviluppare un senso di empatia con le protagoniste portate in scena. Quello che la regista fa è una specie di chiamata alle armi, una richiesta di attenzione. Quello che viene chiesto al pubblico, con la delicatezza di una storia dell'orrore molto attuale, è di risvegliarsi, di sviluppare una sorta di disprezzo sociale per società in cui avvengono questi orrori, dove la libertà individuale delle donne viene ancora calpestata e ignorata. Dove la libertà non è che una fragile eco di qualcosa visto in tv, dall'altra parte del mondo, oltre confini che appaiono invalicabili. Mustang , infatti, è un film che disturba e che innervosisce, che impedisce al pubblico di distogliere lo sguardo; che, anzi, lo tallona da vicino, provocandolo di continuo, quasi sfidandolo a far finta di niente. Sebbene la forma del racconto somigli in vari punti a Il giardino delle vergini suicide di Sofia Coppola, nel film di Deniz Gamze Erguven serpeggia un senso di realtà che lo rende ancora più spaventoso.

Deniz Gamze Erguven è molto abile nella rappresentazione di questo racconto duro, riuscendo a raccontare il disagio esistenziale di giovani ragazze a cui viene impedito di crescere e, soprattutto, di scegliere, incubate in un'esistenza che sembra uscire direttamente dal medioevo. Le ragazze di Mustang sono adolescenti come ce ne sono tante: con sogni, passioni, hobby e uno sfrenato desiderio di vivere libere. Sono ragazze a cui viene impedito di uscire di casa, di indossare gli abiti che preferiscono. A cui, addirittura, viene imposto di ridere in pubblico o di chiacchierare a tavola. Ragazze che aspirano al nuovo millennio, ma che invece vengono sempre ricondotte a terra, nell'oscurità di una cultura che a noi occidentali sembra quasi barbarica. Tutto questo la regista lo rende con uno stile soave, poetico, che suggerisce più che mostrare apertamente, e che passa soprattutto attraverso della piccola Lale, appassionata di calcio e animo ribelle, che aspira alla vita e che cercherà di difenderla in ogni modo possibile. Toccante.

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