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Mr. Jones, Recensione (Berlinale69)

Mr. Jones, girato in pellicola, dona una texture particolare alla storia narrata che si addentra nel genere del bio-pic senza però tralasciare quella che è la Storia generale legata alla storia personale.

In questi primi giorni di 69esimo Festival del Cinema di Berlino abbiamo avuto modo di vedere Mr. Jones, uno dei film candidati all'Orso d'Oro; dal 7 al 17 Febbraio sono 20 i film in concorso nella Selezione Ufficiale e tantissime altre sezioni parallele tra cui Forum e Panorama.

Gareth Jones fu un noto giornalista d'inchiesta gallese che, durante gli anni che precedettero la Seconda Guerra Mondiale, riuscì ad intervistare personalità come Hitler e Goebbels. Aveva quindi denunciato, tramite i suoi articoli, la possibilità che potesse scoppiare una nuova guerra mondiale ma la sua parola non fu ritenuta abbastanza valida. Nei mesi successivi Jones decise di recarsi in Unione Sovietica per intervistare Stalin e, una volta giunto sul posto, si accorse che le condizioni della popolazione non erano minimamente come veniva millantato dal governo. In Ucraina, infatti, la popolazione era costretta alla fame e, tramite i suoi diari e la sua macchina fotografica, documentò la situazione critica che quel paese stava vivendo. Questo particolare momento storico viene definito come "Holodomor", o "carestia di massa sovietica", ed ebbe luogo durante il biennio 1932-33 quando il governo costrinse la popolazione a una collettivizzazione forzata dell'agricoltura.

Il film, diretto dalla regista polacca Agnieszka Holland, tratta principalmente di questo frangente della carriera giornalistica di Jones e mostra i fatti descritti dai diari del reporter scoperti solamente nel 2009 presso l'Università di Cambridge.

L'attore inglese James Norton interpreta il protagonista della vicenda con delicatezza e tenacia in una performance accurata e sentimentale che rappresenta il giornalista con rigore accostato a un estremo senso di devozione per il suo lavoro.

Mr. Jones, girato in pellicola, dona una texture particolare alla storia narrata che si addentra nel genere del bio-pic senza però tralasciare quella che è la Storia generale legata alla storia personale. La grana della pellicola si incastra perfettamente con gli inserti di film dell'epoca riguardanti, per esempio, la figura del treno e le diverse vite che contiene e che sposta da un punto all'altro di un Paese. È così che Mr. Jones, per sfuggire alle spie sovietiche, si addentra su un treno che viaggia nella direzione opposta, un convoglio che, ancora prima di trasportare gli ebrei verso un atroce destino negli anni quaranta, in questo caso "ospita" i contadini ucraini verso una meta non troppo lontana da quella dei campi di lavoro. In questi frangenti la regista utilizza un colore denaturato dove la saturazione e la vitalità sono un lontano ricordo e solo una piccola arancia può rappresentare, per i poveri contadini ucraini, il colore, la gioia temporanea, la sopravvivenza.

Anche la scrittura del film funziona, è chiara e incisiva pur riservandosi dei momenti di stasi, di scarso ritmo, che portano lo spettatore fuori strada. È nella seconda parte che Mr.Jones colpisce nel profondo, quando fisicamente il giornalista si immerge e si imbatte nella verità che poi sarà documentata e denunciata, quando anche lo spettatore viene colpito dalla realtà dei fatti e dalla crudezza delle immagini proposte. 

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