Venezia 71: Messi, la recensione
Alex De La Iglesia confeziona un film completamente fuori dal suo solito stile; il regista ci regala infatti il ritratto di Lionel Messi, miscelando immagine pubblica e privata del giocatore che ora siede sul tetto del mondo calcistico.
di Erika Pomella / 10.09.2014 Voto: 9/10
Presentato, fuori concorso e come film di chiusura, all'interno della sezione autonoma delle Giornate degli Autori alla 71a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Messi è l'ultima fatica del regista Alex De La Iglesia, che al Lido era presente anche con un cortometraggio nel film corale Words with Gods. Salito sul palco per presentare il suo documentario sul talento calcistico Lionel Messi, il regista ha dichiarato che la pellicola non rientrava di certo nel suo genere di produzione. Come egli stesso ha dichiarato, mancava il sangue, la morte, le streghe e i pagliacci. Mancava la violenza. Quello che inveve c'è – e c'è in grande quantità – è un immenso cuore, una storia che sembra uscita da uno dei migliori romanzi di formazione che si potrebbe immaginare, fatta di passione, riscatto e prove da superare. Perchè se è vero che il calcio di oggi è ormai un mondo marcio, guidato dal più vile degli dei, quello del denaro, è anche vero che a volte, dietro questo mostro mangia-soldi e infestato dalla violenza negli stadi, si nascondono storie di persone che sognano, soffrono, si impegnano. A volte il calcio non è altro che la storia di piccoli eroi, per parafrasare le parole che Dino Buzzati usò nel suo articolo per la tragedia di Superga, l'incidente aereo dove persero la vita i giocatori della squadra del Torino. Lo scrittore, infatti, scriveva: "ecco che cosa sono i grandi calciatori […] senza sangue né ira ridestano negli uomini stanchi qualcosa di eroico".
Per raccontare il cammino di Lionel Messi, quattro volte pallone d'oro, campione del Barcellone e ancora assetato del titolo mondiale, Alex De La Iglesia prende in affitto un intero ristorante e lo riempie di amici, conoscenti, insegnanti, compagni di squadra. Organizza, in altre parole, una grande festa dove il tema principale è proprio lui, Messi. Veniamo così messi davanti ad un racconto che segue da vicino la vita del giocatore, dai suoi primi anni a Rosario, in Argentina, fino alla maturazione di un talento venerato in tutta Europa. Miscelando immagini di repertorio e parti di fiction che vogliono mettere l'accento sui momenti di svolta nella vita del giocatore, Alex de la Iglesia confeziona un film a metà strada tra il documentario e la fiction, dal quale è difficile distogliere lo sguardo.
Impariamo così a conoscere l'uomo che si cela dietro la maglia del Barcellona; seguiamo l'ombra di un bambino così ancorato alla sua terra che, ancora oggi, quando torna a casa dopo gli allenamenti o una partita importante, torna a parlare con l'accento del suo paese, dove tutto è cominciato, grazie all'aiuto e alla fiducia di una nonna che, per prima, gli disse che sarebbe diventato il calciatore più forte del mondo. Seguiamo, quindi, i passi di un bambino troppo piccolo per la sua età, costretto a somministrarsi una cura ormonale dall'età di otto anni per sviluppare in modo sano. Un ragazzino che ha attraversato gli oceani e grandi difficoltà per seguire un sogno. Tutto questo viene registrato da Alex de La Iglesia quasi senza pathos; alcuni potrebbero, dunque, tacciare il regista di una freddezza di fondo che potrebbe minare l'empatia dello spettatore. Ma, forse, Alex de La Iglesia era consapevole che la storia che stava raccontando era di quelle che non hanno bisogno di troppi abbellimenti, nè di futili esercizi di stile. Era una storia che parlava da sè, piena di tutti quegli elementi che i più accaniti lettori spesso cercano nei libri appena usciti.
Messi è un viaggio interessante e a tratti commoventi nella storia di uno dei più grandi fenomeni calcistici contemporanei, tanto che anche il collega Mascherano dice, davanti all'obiettivo, che sarebbe bello poter scivolare nelle scarpe di Messi solo per cinque minuti, solo per sentire che cosa si prova ad essere lui. Facce sconosciute e volti del calcio mondiale si alternano sullo schermo, cercando di mettere insieme un'immagine verosimile del giocatore, miscelando il ritratto privato di un ragazzo sempre fedele a se stesso con quella del calciatore sempre assetato di gol e di vittorie. Un ragazzo che, ad ogni azione concretizzata, alza le braccia al cielo, puntando la volta celeste per dedicare il suo successo e la sua vita a lei, quella nonna che ha sempre creduto in lui. Applausi.