Manhunt: Unabomber
Manhunt: Unabomber

Manhunt: Unabomber, la recensione


Unabomber sta seminando il panico negli degli Stati Uniti e l'ultima opzione dell'FBI per smascherarlo è considerare come prova il profilo psicologico elaborato da uno dei Profiler dell'agenzia. Sam Worthington e Paul Bettany sono i protagonisti di questa serie targata Netflix che ripercorre le indagini che portarono all'arresto di uno dei killer più astuti della storia degli Stati Uniti.
Voto: 7/10

Durante gli ultimi decenni del secolo scorso negli Stati Uniti si sono consumati numerosi attentati con obiettivi eterogenei tra loro ma accomunati dalla mente che progettò i colpi: Theodore Kaczynski, denominato Unabomber dalla polizia e dai media dell'epoca. Tutti questi attentati provocarono la morte di tre persone: Hugh Campbel Scrutton, Thomas Mosser e Gilbert Murray. Dal primo caso Unabomber diventa ufficialmente un assassino e l'FBI nota che il suo modus operandi negli anni è diventato sempre più accurato e preciso. Le investigazioni portate avanti dalle forze dell'ordine negli Stati Uniti continuano per anni, senza mai riuscire a dare un volto al nome di fantasia da loro creato.

Il fatto particolare e curioso di questo serial killer è che, dopo o prima ogni attentato, mandava delle lettere firmate con la sigla F.C. con le quali cercava di spiegare le sue motivazioni per il gesto compiuto. Questa corrispondenza sempre puntuale con la polizia e con i media ricorda molto le azioni del più famoso "killer dello Zodiaco" che operò circa una ventina di anni prima di Unabomber. La differenza tra i due sta nelle motivazioni che li portano a scegliere gli obiettivi da colpire. Famoso è il saggio/manifesto che Unabomber mandò nelle redazioni di alcuni quotidiani e che utilizzò come ricatto nel tentativo di uscire definitivamente dalla scia di sangue che lui stesso aveva cominciato a lasciare. L'alternativa proposta ai giornali e alla polizia fu quella di pubblicare il manifesto intitolato La società industriale e il suo futuro per intero oppure di andare incontro ad un ulteriore attentato. La polizia accettò di pubblicare questo saggio e fu proprio grazie al confronto con altri scritti di Kaczynski che la polizia riuscì ad identificare e ad arrestare il killer. La serie Manhunt parte nel 1995 quando il killer è ormai già noto a tutti e quando i suoi attentati ricominciano dopo alcuni anni di pausa. Il protagonista della serie è un giovane Profiler, ex poliziotto di quartiere, che, dopo aver passato il test dell'FBI con il massimo dei voti, viene chiamato immediatamente per cercare di costruire un profilo del killer basandosi su tutte le lettere inviate.

La particolarità di questa serie sta nella minuziosità con la quale sono mostrate e narrate come sono state affrontate le indagini da parte del Profiler interpretato da Sam Worthington. Puntata dopo puntata assistiamo a come la vita dell'agente cambia mano a mano che si avvicina alla risoluzione del caso e, parallelamente, ci viene mostrato anche quello che è successo dopo l'arresto del killer, avvenuto nel 1996. Se tutta la prima parte si occupa principalmente di Jim e del rapporto con la sua famiglia e con i suoi colleghi, nella seconda parte subentra la storia di Theodore dove ci vengono in qualche modo spiegate le motivazioni per le quali quest'uomo diventi Unabomber. È interessante che Manhunt non ponga il killer come assoluto colpevole senza possibilità di redenzione ma ce lo fa conoscere a partire dalle sue debolezze e dalle sue fragilità in un contesto quasi "ordinario". In qualche modo ci fa capire che chiunque potrebbe diventare un serial killer se dovesse affrontare dei problemi nella maniera sbagliata visto che la vita che conduceva Theodore potrebbe corrispondere benissimo a quella di ognuno di noi.

Manhunt ricorda molto alcuni film girati da David Fincher, soprattutto per quanto riguarda la caratterizzazione del personaggio responsabile delle indagini che non riesce a tenere il lavoro separato dalla famiglia. Alcuni esempi potrebbero essere quello di Brad Pitt in Seven e di Jake Gyllenhaal in Zodiac. Sicuramente questa serie si discosta parecchio da Mindhunter, la serie del 2017 girata da Fincher per Netflix, che evidenza con molta più enfasi il ruolo della psiche nelle menti dei serial killer e che vede Jonathan Groff alle prese con una crisi psicologica molto più forte e determinante di quella a cui va incontro Sam Worthington in Manhunt. Anche la regia risulta più apprezzabile nel lavoro di Fincher ma di certo Manhunt è un prodotto di genere veramente buono.

Uno dei difetti di questa serie sta nella scelta della linea temporale adottata. Durante gli episodi si vive parallelamente tra gli anni delle indagini in corso per cercare di incastrare Unabomber (nel 1995 circa) e gli anni successivi al suo arresto dove Theodore ricorre in appello a causa di una pratica eseguita in modo "particolare" e non molto ricorrente nella storia giuridica americana (nel 1997). L'alternanza tra questi due momenti non è molto funzionale allo svolgimento della trama perché non c'è un reale motivo che giustifichi l'adozione di questa tipologia di narrazione.

Valutazione di redazione: 7 su 10
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